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mea
via | gazmèa (venir a) = venire a patti, giungere ad una conclusione
el ze vegnùo a mèa = è tornato da me per fari i conti, è giunto alla conclusione che ho ragione io
dal lat. "meta" - termine, fine
da piccola usavo giocare a mèa... cioè a nascondino.
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Negn(a)
via | Rosaspina__________________
similia tag | néngue
20101211
Soc sec
via | RossCinque sacchi di legna secca sullo zucco* (la legnaia nelle stalle), sono cari anche a casa.
Nel senso che fanno comodo durante il freddo dell'inverno.
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mói
via | Bluebabblersimilia tag | mézzo
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vaiassa
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pasolini, pier paolo
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schisceta
via | em20101111
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El chisöl per i pòri morti
via | RossDomandate ai vecchi di Brenzone che cosa sia il chisöl. Vi risponderanno che era una questua. La facevano da ragazzini, in novembre, andando a elemosinar castagne di casa in casa.
Provate a far la stessa domanda a qualche anziano di Cassone, in terra malcesinese, poco più a nord. Vi dirà che il chisöl era un pane piccolo d'una volta e che ora non s'usa più.
Andate a chieder notizie nel Mantovano. Là il chisöl - o la chisöla, al femminile - è una schiacciata, resa ricca coi ciccioli di maiale, oppure con la cipolla o con l'uva passa.
Spostatevi nel Bresciano. Vi faranno assaggiare il loro chisöl, che è una focaccia dolce, zuccherata. Qualcuno vi racconterà anche un proverbio: "Per sant'Antóne chisöler, chi no fa la turta ghè burla zó 'l solér". Si riferisce a una ritualità legata alla festa di sant'Antonio abate, il 17 di gennaio. Dice Attilio Mazza: "Era tradizione nella Bassa bresciana che, per il giorno di sant'Antonio, le massaie preparassero èl chisöl, una focaccia. L'antica consuetudine assunse significato propiziatorio affinché non crollasse il solaio carico di neve". Ma forse non è proprio così. Almeno non del tutto. E tra il chisöl brensonàl, quello casonér, quello mantovano e quello bresciano potrebbe esserci un legame molto stretto, anche se a prima vista non parrebbe.
Forse la vera spiegazione del rito del chisöl la si può trovare, quasi incredibilmente, proprio a Brenzone. Qui - s'è visto - il chisöl non era qualcosa da mangiare, bensì una curiosa usanza novembrina. Ne ha parlato "El Gremal" nel '95. Lo spunto veniva da una breve composizione di una (allora) allieva di seconda elementare, Marta Sartori, che, dovendo indagare sulle tradizioni dei nonni, ha scritto così: "Nei giorni dei morti, quando i nonni erano bambini, nei nostri paesi c'era questa usanza: i bambini più poveri andavano, con un sacchetto, dalle famiglie che possedevano tanti castagni a chiedere 'el chissöl per i pori morti', cioè un po' di castagne". La notizia raccolta dall'alunna venne sottoposta al vaglio dei compagni, che a loro volta intervistarono i familiari. Se ne ricavò che "quasi tutti i nonni conoscono questa usanza". Pochi invece i genitori che avessero fatto la questua: la tradizione si stava perdendo.
Cosa c'entra la questua brenzonese con le focacce di Cassone e dei lombardi? C'entra. Ma ci arriviamo un po' per volta, aggiungendo un nuovo indizio.
L'ulteriore tassello m'è stato fornito dall'ex sindaco di Brenzone, Dennis Palminio, che ha sentito a proposito del chisöl qualche anziano del luogo. Ricevendo notizia che la questua non era riferita sempre e solo alle castagne, ma anche ad altri frutti e altre vivande. Sempre e comunque la si domandava "per i poveri morti". C'era dunque un qualche nesso fra il chisöl di Brenzone e il ricordo dei defunti.
Durante la questua si chiedevano in dono in particolare le castagne. E anche questo non è un caso. Le castagne erano cibo rituale e simbolico: il loro frutto esce dalla scorza così come il corpo resuscita dal sepolcro. A Bardolino il giorno dei morti nelle famiglie di campagna ci si dividevano i compiti: i più andavano alle funzioni sul cimitero, ma qualcuno restava a casa a cuocere le castagne, che fossero pronte al ritorno. Guai a farle mancare. Erano il pane dei morti. A San Zeno di Montagna il prezzo dei marroni restava alto sino a fine ottobre, per poi calare di colpo. Come può una data fare da limite alla fissazione del prezzo d'un prodotto alimentare, se quella scadenza non carica di significato l'alimento? Pensate al pandoro: dopo Natale è ottimo comunque, ma in bottega non se ne vende più neanche una scatola, se non riducendo brutalmente il prezzo. Così era per i marroni il giorno dei morti: passata la ricorrenza, crollava il prezzo.
Il chisöl era dunque il rito con cui i ragazzini di Brenzone andavano di casa in casa a domandare il pane dei morti. Così come altrove il chisöl era pane davvero. Pane rituale, da portare in tavola per le ricorrenze dei defunti. Era pane vero e proprio quello di Cassone. È pane arricchito di carne o verdure quello mantovano. È pane addolcito quello bresciano.
Si dirà: ma il proverbio di Brescia smentisce questa tesi. Il chisöl lo si preparava per la festa di sant'Antonio Abate. Che c'entra lui coi riti dei defunti? C'entra.
Molte festività cristiane hanno sostituito, sovrapponendovisi, antichi riti pagani. Il Natale in primis. Pensateci: nei Vangeli non si trova traccia della data di nascita di Cristo. Ed è comunque improbabile - dicono gli storici - che si trattasse della fine di dicembre. Ma a Roma l'imperatore Aureliano aveva fissato al 25 dicembre la festa del Sole invitto, celebrato con le corse dei carri, raffigurazione del carro solare. I primi cristiani hanno dunque sovrapposto al sole dei pagani quello della luce di Cristo: "Tu sole vivo per me sei Signore, vita e calore diffondi nel cuor" si canta ancora oggi nelle chiese.
Anche la festività di sant'Antonio abate è una sovrapposizione d'un culto pagano: quello di Lug, dio celtico della morte e della resurrezione. Il simbolo di Lug era il cinghiale, e sant'Antonio è sempre raffigurato con un maialino al fianco. La stessa campanella di sant'Antonio è simbolo della morte e della resurrezione. "Come è avvenuto spesso nel cristianesimo primitivo, i Celti convertiti hanno trasferito probabilmente gli attribuiti di Lug su sant'Antonio" osserva Alfredo Cattabiani. Le stesse reliquie di sant'Antonio sono giunte dalla terra dei Celti, la Francia.
Ancora il chisöl come pane dei morti, dunque. Anche nella tradizione bresciana. In forma diversa rispetto a Brenzone. Ma con lo stesso nome. Il che spinge a pensare che il chisöl sia il rito in sé, e non tanto ciò in cui si materializza. Rito comunque alimentare. Rito del pane dei morti: castagne o pani schiacciati che fossero. Ed a Brenzone se ne trovano gli indizi più autentici.
Perché proprio a Brenzone? Perché il suo lungo isolamento ha permesso di conservare traccia di usanze arcaiche, altrove dissoltesi. Giudicato "domicilio aspro e orribile", Brenzone è rimasto praticamente privo di strade sino alla fine degli anni Venti. Simili condizioni potrebbero aver consentito che lì e solo lì sopravvivessero tradizioni alimentari vetuste, non contaminate da altri usi alimentari o dalla cucina borghese ottocentesca. Non a caso proprio a Brenzone si trova la ricetta originaria del sisàm. E solo qui resiste un piatto come la polenta carbonéra, probabile indicatrice delle migrazioni che portarono alla colonizzazione di quest'impervia porzione del Baldo attraverso le valli lombarde ed il lago. Brenzone si mostra un prezioso laboratorio di ricerca sulle tradizioni gastronomiche del territorio veneto e lombardo.
Resta da soddisfare, credo, una curiosità: come si fa il chisöl in uso fra i Bresciani e i Mantovani. Gino Brunetti dice che il chisöl mantovano "era fatto con farina bianca, acqua, sale ed un poco di bicarbonato": il tutto veniva impastato e poi cotto col testo, ossia una teglia particolare per le torte o anche, più anticamente, un semplice disco di pietra o di terracotta per cuocerci, schiacciato, il pane "sulla madre del fuoco". "È fatto di farina bianca, acqua, sale e un poco di bicarbonato" concorda Franco Marenghi: l'impasto viene messo a cuocere sotto la cenere del camino in una teglia con coperchio. Lo si mangiava in sostituzione del pane. Doveva essere grosso modo così anche il chisöl che si usava a Cassone. Quello che, secondo Giuseppe Trimeloni, era "una particolare forma di pane piccoletta, tondeggiante e schiacciata". Lo stesso etimo riporta alla forma schiacciata, schisà.
"Che la chisöla incorpori l'uva fresca o secca, la cipolla o i ciccioli di maiale, poco importa: il carattere dell'impasto è sempre lo stesso", attesta Stefano Scansani parlando della tradizione mantovana. Lievito, farina bianca, acqua, sale e sugna, ossia greppole di maiale, sono anche gl'ingredienti del chisöl bresciano citato da Camillo Pellizzari. Secondo Marino Marini fra i componenti figurano anche zucchero, uova, uvetta e scorzetta di limone. E Marcello Zane dice che sul Garda lombardo il tegame di cottura veniva unto con l'olio e "spolverato di pan trito, veniva riempito da un composto formato da uova sbattute con zucchero, cui era stata aggiunta farina bianca, ancora dell'olio di oliva, sale e poco latte".
Questo è il chisöl. Sperando non se ne perdano la tradizione e la memoria.
(Angelo Peretti per la rivista El Gremal, 2000)
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budgher
via | Bluebabbler20101018
vai pian, fai veloce
via | em
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Zanzotto Andrea
via | gazPer festeggiare l'ottantanovesimo compleanno di Andrea Zanzotto, questa bella selezione di video degli archivi Rai dove il grande poeta veneto racconta la sua vita e la sua arte.
20101006
India, scoperta una lingua sconosciuta
via | RossSi chiama Koro ed è stato scoperto dai linguisti del progetto del National Geographic Enduring Voices, che si propone di studiare e rivitalizzare i linguaggi che si stanno estinguendo sul nostro pianeta (circa la metà dei settemila conosciuti è a rischio). L’idioma è parlato solo da 800 persone e proviene da una regione remota del nord-est dell’India, l'Arunachal Pradesh.
UNA SCOPERTA CASUALE - La spedizione del National Geographic era stata ideata per studiare due misconosciute e poco parlate lingue della regione indiana, l'Aka e il Miji. Gli studiosi hanno scalato ripidi pendii per raggiungere i villaggi nei quali si parlano i due idiomi, ma andando di porta in porta tra le case di bambù per registrare i vocabolari delle due lingue si sono imbattuti in un terzo linguaggio del tutto inedito: il Koro. Per raggiungere il piccolo villaggio dove viene parlato questo idioma, il team di studiosi ha dovuto affrontare un'avventurosa traversata di un impetuoso fiume di montagna e, una volta giunto a destinazione, ha iniziato a raccogliere le parole e le storie degli abitanti. Si tratta delle prime testimonianze dell'esistenza di questa lingua, che fino a oggi non compariva neanche nei rapporti o nei censimenti linguistici indiani.
PARLATA DA 800 PERSONE - Il Koro è una lingua che appartiene alla famiglia Tibetano-Burmese, composta da circa 400 idiomi, con i quali però il Koro non ha alcuna somiglianza. I suoni usati sono molto differenti così come le parole e la costruzione delle frasi. Tra il Koro e l'Aka, parlati dalle popolazioni confinanti dell'Arunachal Pradesh, secondo K. David Harrison, uno dei ricercatori del National Geographic, «c'è una differenza paragonabile a quella esistente tra l'inglese e il giapponese». La curiosità è che i due gruppi etnici non sembrano avvertire una tale diversità e, anzi, sono convinti di parlare due dialetti diversi della stessa lingua. La scoperta, secondo i suoi autori, ha però un sapore agrodolce poiché, aldilà del rilevante interesse scientifico, il Koro è una lingua morente, essendo parlata da 800 persone e da pochissimi giovani. Il prossimo novembre la squadra scientifica del National Geographic Enduring Voices tornerà in India per riprendere lo studio del linguaggio appena scoperto.
Emanuela Di Pasqua
6 ottobre 2010
(Fonte: Corriere.it)
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così parlavano i babilonesi
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2. zuccone, persona dura di comprendonio;
3. dirupo
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Il meteo del contadino
via | Ross
Quando la luna fa la corona (quando il suo contorno non è nitido ma sfumato in un alone di luce), il bel tempo ci abbandona.
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Quando i rùndene i ula bass, se te sét sènsa ombrèla slonga l' pass.
Quando le rondini volano rasoterra, se sei senza ombrello, accelera il passo.
***
Quando l' canta l' gal fò de ura, se l' gh'è ciàr a l' se sniùla.
Quando il gallo canta fuori orario, se c'è sereno si rannuvola.
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burcio
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Ciciote
via | Ross
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Gri
via | RossGri gri sóta l'umbrelì... vü... du... tri!
(Grillo grillino, sotto l'ombrellino... uno... due... tre!: un gioco infantile)
(Il saltamartino era un pezzo d'artiglieria del XVI-XVII secolo
che saltava notevolmente per il rinculo)