20090429

Gratificante


Alle tre e mezzo di stanotte ricevo questa mail:

Sono arrivata nel suo blog perchè anche a mè piace il film Amarcord, di Fellini. Abito in São Paulo, Brasile. Suo blog dialettticon è formidabile. I miei genitori erano italiani e parlavano dialetto, anzi mia mamma e noi le figlie perche mio papà non capiva niente (parlava un altro dialeto - era di una città "lontana" 70 quilometri). Era proprio divertente vederlo senza capire le figliole "ma almeno parlate in italiano" diceva sempre. Erano del Piemonte.

Mi sono sposata con Vito, di Polignano a Mare, vicino a Bari e allora era io che non capivo niente. Hò imparato qualche cosa. Me ne vengo zupo zupo; sbairi o pensier; chi me lo fà fà; Vito non è più fra noi ma la Puglia, dove sono stata 4 o 5 volte, sarà sempre nel mio cuore. Qui a São Paulo esiste l'associazione San Vito Martire della quale sono socia e nel prossimo 15 maggio, con 1 mese in anticipo, comincia la festa di San Vito nella nostra città. Scrivire per voi che è della Puglia, Bari cosí vicina a Polignano mi fà ricordare Vito, fave e foglie, ghimirelle, scartelate, piccicatelli, ricchitelli, pezza dolce, cippolini, ricotta scana, huuum. Fai una visita nel mio blog, gradirei. Scusa il mio italiano. At naviz (dialeto piemonteis)

Grazie.
Marina VL
marinavicarilerario.blogspot.com

Grazie a te, Marina!

20090427

torbato


Stando al "Dizionario di vernacolo lucchese",

torbato = nuvola. Si dice “oggi è torbato” per significare che il cielo è nuvoloso.

Lo scopro adesso che "torbato" significa nuvola. Ma non è che ne sia troppo convinta...

ea vien a seci roversi

scravassa
Ea vien a seci roversi = ( sottointeso la pioggia) viene a secchi rovesci, cioè piove a dirotto, in questo momento e il cielo è nero.

Da voi, come butta la giornata?

20090426

cogno

Cydonia oblongacògno, codògno | cotogno, mela cotogna

20090425

Bòcolo

bòcolo

Il bòcolo è un bocciolo di rosa rossa che il 25 aprile, giorno di San Marco patrono della città, gli uomini usano ancora oggi regalare alle loro amate. Sono molte le leggende attorno a questa tradizione. Una di questa parla di un giovane soldato che morì a Costantinopoli durante la quarta crociata e che, prima di morire, aveva bagnato con il suo sangue la rosa bianca da mandare alla sua fidanzata; la rosa diventò tutta rossa, e così arrivò alla fanciulla. Un’altra leggenda narra di una giovane che morì di crepacuore alla notizia della morte del suo amato; morendo stringeva al petto una rosa, armai secca, donatale da lui ma che, nel calore del suo grande amore, rifiorì. [via]

20090421

Lu Papone

Lu papone non è altro che lo scarafaggio o come si direbbe a Roma "er bacarozzo". Non conosco l'etimologia del termine anche se, mi piace pensare sia stato ispirato da sentimenti anticlericali.

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| bucajone

20090420

Tre done


Trè dòne in d'öna cà i va decórde quando öna la comànda,
ün'otra l'è mórta e la tèrsa l'è pitüràda söla pórta.

Tre donne, in una casa, vanno d'accordo quando una comanda,
un'altra è morta e la terza è pitturata sulla porta.


Versione femminile e dialettale del modo di dire "ci sono troppi galli in un pollaio", regalatami da mio nonno durante un battibecco generazionale fra mia nonna, mia madre e me.
Fra le tre litiganti, il quarto si di(a)letta.

20090418

racola

raganella
ràcola, racoléta = raganella; parlantina

Voce imitativa, esprime in origine il gracidare.
Che ràcola = che parlantina, riferita in particolare a persona che parla in continuazione.

Ràcola o racoléta è anche uno strumento di legno formato da una rotella dentata e un'assicella con lamina a contatto con la ruota: facendo girare lo strumento come un'elica si produce un rumore simile a quello di una raganella.
Si usava nelle sagre, nelle chiese il venerdì santo in luogo del campanello e delle campane che tacciono in segno di lutto.


racoléta

20090417

Trettecà

Trettecà: oscillare, muovere

E' il vocabolo/verbo adatto a questi giorni, visto che da quando si è risvegliata, la notte del 6 aprile, la terra tertica parecchio, non come nel vicino Abruzzo, qui da noi si sente la coda (di solito di quelli sopra i 3,8 di magnitudo), con maggior o minor intensità a secondo che si stia più sulla roccia (Ascoli e l'alta valle del Tronto) o sulla sabbia (San Benedetto del Tronto e la bassa valle del Tronto, alluvionale).

Comunque, per sicurezza, Ascoli è sotto la protezione di Sant'Emidio (sante 'Middie) e fin'ora è andata bene!

Ricordo che mia Suocera usava un metodo tutto suo per far addormentare i neonati, li prendeva e seduta su una sedia della cucina, si dondolava con un certo vigore, tanto da alzare i piedi della sedia stessa e i piccoli si addormentavano. Lei ci diceva: "mò lu terteche ie, e lu facce addormì!" (più o meno, la pronuncia è così, con la "e" di "facce", quasi muta!) trad: "adesso lo dondolo io e lo faccio addormentare"

20090416

tenerosse


Perchè Tenerosse,
lo mìssino 'n dù casse?
Perchè era così grosso...
che in una un ci capìa!

E' una filastrocca che ho scoperto grazie al mio amico Antonio il Giardiniere. Seravezzino D.O.C., lui sì che è un concentrato di versiliesità! Spesso io e lui ci divertiamo a parlare in versiliese stretto.
E' rimasto stupìto della mia vocazione. E da allora sono diventata la sua interlocutrice preferita. Ogni volta che a uno dei due viene in mente uno strafalcione in versiliese, prontamente lo esterna all'altro.

Non so se questa specie di filastrocca abbia un significato o venga usata in particolari contesti. Ma credo di no. Presumo che il suo senso sia legato esclusivamente al suono. Suona bene grazie alle numerose assonanze sibilanti.

L'identità di Tenerosse, rimane anch'essa avvolta nel più fitto mistero. Sarà un personaggio mitologico versiliese? Magari di origini longobarde? Mi viene da associarlo, sempre per assonanza, a Tassilone. A proprosito... si dice che Terrinca (volendo, si può cliccare!) piccolo paesino, frazione di Stazzema, arroccato sulle Alpi Apuane, abbia origini longobarde. Infatti, la più famosa pizzeria del luogo si chiama proprio "Da Tassilone" (fanno una pizza fantastica!). Però, Tenerosse, potrebbe anche essere il capo di una delle numerose tribù di indomiti liguri-apuani (ancora una volta, sempre volendo, si può cliccare), i più diretti antenati degli attuali versiliesi che, più di ogni altro italico popolo, hanno dato filo da torcere ai Romani.

Mìssino: ovviamente, "misero". E questo confuta la mia presuntuosa teoria sulla costruzione dei tempi verbali in versiliese. In base alle mie conoscenze, infatti, sarebbe dovuto essere "mettettero". Ma, evidentemente, esistono forme più arcaiche di passato remoto.
Capìa: entrava (da "capire", nel senso di "contenere").

20090414

grea

grèagrèa = graticola

20090413

furicchio


Bambino incredibilmente vivace, esagitato, iperattivo, con l'argento vivo addosso.

E chi è più furicchio di Pinocchio?

20090412

libera nos a Malo

monte di Malo"Coi tuoni e i primi scrosci della pioggia mi sono sentito di nuovo a casa. Erano rotolii, onde che finivano in uno sbuffo, rumori noti, cose del paese. Tutto quello che abbiamo qui è movimentato, vivido, forse perché le distanze sono piccole e fisse, come in un teatro."

Luigi Meneghello (Malo, 16 febbraio 1922 – Thiene, 26 giugno 2007)

20090411

vovo

Vòvo = uovo

20090409

stiaffo


"Se un na fai finita, ti stiocco dù stiaffi!"

Sono numerosissimi i casi in cui la c velare, o "dura" (k), preceduta da una s e seguita da h + dittonghi - ia, -ie, -io, si trasforma in una t. Oltre a stiaffo e stiaffeggià, mi vengono in mente stiocco e stioccare (schiocco e schioccare), stioppettata (schioppettata), stianto e stiantà (schianto e schiantare), stiappa (schiappa), stiacciare, stiaccio, stiacciata (schiacciare, schiacciato, "schiacciata" = focaccia).

Sinonimi di stiaffo, invece: labbrata, pattone, ciaffata.

20090408

nizzone


Un nizzone (con l'accento sulla "o") è un livido.
La cosa interessante è che in Versilia si usa anche in forma verbale.
Ecco quindi alcuni esempi: "Guarda qui, mi son nizzata i ginocchi..";
"Mi passi la pera?" "Ma che, 'unno vedi che è tutta nizza?!"


20090405

sgronciolà

Il piatto della foto l'ho sgronciolato con le mie stesse mani (capita spesso).
In questo caso, sgronciolare significa chiaramente "sbeccare", riferito a piatti, bicchieri e vasellame in genere. Credo, però, dopo aver fatto una breve ricerca su Internet, che in origine il verbo si riferisse a quanto illustrato da un interessante "dizionario del vernacolo lucchese": sgronciolareridurre del pane in “gróncioli”. Il gronciolo, a sua volta, è definito: " pezzetto di pane avanzato che resta sulla tavola dopo il pasto". In effetti, tuttora, in Versilia, si è soliti usare espressioni del tipo "Falla finita di sgronciolà 'l pane!" (mia madre me lo dice sempre, quando, in prossimità dell'ora di pranzo, avvertendo l'esigenza di mettermi istantaneamente qualcosa nello stomaco nell'attesa che cuocia la pasta, "strazio" il pane con le mani strappandone avidamente il "cantuccio").
Posso anche dire, però: "Son cascata e mi son sgronciolata i ginocchi" (sbucciata, escoriata).
Digressione: dopo una lettura sommaria del dizionarietto online summenzionato, mi sono sorpresa dell'enormità di vocaboli che accomunano versiliese e lucchese. Il mio stupore può sembrare paradossale, visto che la Versilia è provincia di Lucca, eppure, pur conscia delle analogie, ero convinta che tanti ètimi tra i più pittoreschi e "strani" fossero tipicamente versiliesi, mentre, a quanto pare, sono stati mutuati dal lucchese. Forse, la causa della mancata percezione di quanto fossero simili i due vernacoli, nasce semplicemente dalla differenza della pronuncia, essendo quella lucchese più marcatamente toscana rispetto alla nostra.

frameche


Framéche, briciola (cfr. lat. misca); framéche ad Acquaviva, Monsampolo, Montalto: framica a Cupra e Montefiore.
Quasi con lo stesso significato, anche Mejéche: significa sia mollica che briciola; così anche ad Acquaviva e Monteprandone. Mijèche a Grottammare, mijìca a Cupra, mujìca a Campofilone e Montefiore; mijica a Castignano.

E con l'occasione, vi auguro una Buona Pasqua, ché questa settimana sarò un pochetto (nà mejechetta) impegnata! ;-)


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| fregüi ¬ frégole

20090404

granso

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granso (s.m.) | granchio

20090402

leto

léto = lercio, sporco, sudicio
"Vatti a lavà le mane, un no vedi come l'hai léte?!"
"Guarda com'è léta la mì macchina, sarà méglio la porti a lavà" (ciò risponde al vero).
Improvvisamente, mi sovviene un episodio risalente a qualche anno fa. Raccontavo ad una mia ex collega, di quanto fossero squisiti i "mignon" di una certa pasticceria di Querceta. Avevo preso la piacevole abitudine di andarli a comperare lì ogni domenica. Lei esclamò: "Ah!!! Ho capito! Da Pié* il Léto?". Ignoravo totalmente che il titolare del negozio fosse rinomato per tale peculiarità. Naturalmente, ne rimasi sconvolta e non mi azzardai più ad acquistare le paste da lui.
Come accade con i vari sinonimi di léto (zozzo, zozzone, sudicio, sporcaccione, ecc.), l'aggettivo, all'occorrenza sostantivo, in questione, può esprimere una certa laidezza in senso morale, o lubricità: "Guarda che léto lù lì! Legge 'ggiornaletti porno!".
Da lèto derivano i relativi verbi illétà e illétassi (sta attento al fango, che t'illéti le scarpe!), nonché il sostantivo létùme = alta concetrazione di sudiciume.
Nessuna fonte letteraria mi consente di risalire all'etimologia di questo termine, però viene spontanea l'associazione con letame. E ciò mi sembra molto plausibile.
Un altro sinonimo, versiliese, di "léto" è lózzo.
*nome fittizio che ho usato per non ledere l'immagine del pasticcere...Dopotutto, non è detto che sia proprio lui l'addetto alla preparazione dei dolci e, inoltre, una volta messe in forno, le paste dovrebbero uscirne sterilizzate, no?

20090401

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