20090330

sgregiolà

Sgrègiola il telefono quando la linea è disturbata; sgrègiola un televisore quando manca l'antenna o non sono stati sintonizzati i canali (ed appare la tipica schermata grigia puntiforme); sgrègiola un disco in vinile quando è sporco o graffiato. Lo sgrégiolìo è quel rumore (o, meglio, quell'insieme di rumori) che è composto da un fruscìo di fondo ulteriormente disturbato da scricchiolii, crepitii, sfrigolii di varia natura. Ha tutta l'aria di essere un termine onomatopeico ed ero convinta fosse creazione assolutamente versiliese ma, in alcuni dizionari della lingua italiana, è presente il verbo sgrigiolare (si specifica che è molto poco usato) come sinonimo di "scricchiolare". Se si tratta del medesimo verbo, e presumo proprio di sì, in versiliese si è arricchito di molte più sfumature rumorose.
La e si pronuncia chiusa nel verbo all'infinito e in tutte quelle forme e tempi verbali in cui essa non fa parte della sillaba accentata: sgrégiolà; sgrégiolàva. Ma la stessa e si apre quando su di essa cade l'accento tonico: il disco sgrègiola. In tutti i vernacoli toscani (tranne massese e carrarese), come ben si sa, la pronuncia della g sonora in posizione intervocalica si addolcisce ulteriormente, diventando molto simile, se non identica, alla pronuncia della j francese di jour. Il versiliese, però, è particolare anche per quanto riguarda la pronuncia di questo fonema che diventa, infatti, uno strano ibrido tra la j dei francesi e la ʃ di sciare, anzi, si enfatizza più quest'ultima, che non la J francese. Mi è capitato di riconoscere, più o meno, lo stesso suono quando un romano pronuncia, per esempio, la parola bugia.

P.S. Sto provvedendo alla realizzazione di un cd audio-video per la gioia della Gaz!

Zlaagiu

Zlaagiù = acquazzone, violento rovescio d'acqua.

Per dilatazione semantica la parola è giunta a indicare anche un manrovescio, uno schiaffo, come quello che si può ricevere dalla pioggia e dal vento sferzanti durante un temporale.

naransa

arancianàransa = arancia

Dall'arabo "narangia", a sua volta dal persiano "narang", e questo dall'antico indiano "nagarancia" = gradito agli elefanti, perchè questi animali sono ghiotti di tale frutto.

Trovo che scoprire l'origine delle nostre parole sia veramente entusiasmante!


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| merangula

20090329

arrivano i pisani

Arivino 'ppisani
Così si dice nel momento in cui ai bambini si chiudono gli occhi per il sonno. La frase rimanda al periodo in cui pisani, lucchesi e fiorentini combattevano tra loro per il possesso della Versilia. Evidentemente, i pisani erano noti per una particolare aggressività che, nel tempo, è divenuta proverbiale. Quando arrivavano i pisani, bisognava serrare le porte. Questa immagine è stata poi utilizzata in senso figurato per riferirsi alla chiusura delle palpebre nei bambini. Inoltre, se resiste tenacemente il detto “Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio", qualcosa vorrà pur dire!

20090328

arevocce

Arevócce, dice il popolo per dire pioppo (populus alba), lett. 'alberello'. Ma sembra impossibile che il primo nome sia solo corruzione dell'ultimo. È probabile che invece sia una ricostruzione della pronuncia dialettale del secondo su un nome più antico: su aravicelos 'pinaster', che la Treccani ci assicura nome ligure. Ad Ascoli piuppe. Nell'area ove prevalentemente si riscontra la u finale e gravitante su Fermo e Macerata, arbucciu.
Questo perchè è, tra gli alberi quello che mi piace di più! E mi ha sempre fatto sorridere che qui, sulla Costa, lo chiamino semplicemente "alberello".
Lo si usa, in questa zona, il 1° maggio (sospetto un'origine celtica), tagliato e ornato di una bandiera (adesso rossa, per assonanza alla festa politica), piantato in cima alle colline.


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similia tag | àlbara

20090326

a proposito di verbi parte seconda

La sostituzione della “a” con la “i” nel suffisso dell'indicativo imperfetto, avviene sistematicamente anche nei verbi non ausiliari e, quindi: mangiàvite – con accento tonico sulla seconda sillaba; mangiàvino; córévite (correvate), córévino (correvano), mentre la prima persona plurale (mangiavamo, correvamo) viene sempre sostituita con la forma impersonale: noi si mangiava, noi si coréva, ecc. (del resto, questo avviene anche nel presente: noi si mangia, noi si córe, noi si gioca, ecc. in luogo di “noi mangiamo”, “noi corriamo”, “noi giochiamo”). Nel verbo modale "potere", la "d" si sostituisce alla "t" e spesso viene lasciata cadere la "v": podéa, podéino. Anche nell’imperativo dei verbi riflessivi, la “a” diventa “i”: “lèviti di torno!” (levati da torno); “làviti le mane!” (lavati le mani). Nell' indicativo presente, cambia la terza persona plurale: màngino (mangiano); càmbino (cambiano), gióchino (giocano); córino (corrono); vènghino (vengono); dòrmino (dormono), ecc. Per quanto riguarda le tre persone del singolare, sono di norma la seconda e la terza che, quando contengono un dittongo, si modificano (il dittongo scompare): “vèni” (vieni), vène (viene); téni (tiene), téne (tiene); pói (puoi); (può); vói (vuoi), vóle (vuole), ecc. Talvolta, si assiste anche ad una mutazione vocalica nella radice del verbo, come nel caso di "diventare" che si trasforma in "doventare": "quando i figlioli doventin grandi..." .
Non posso non accennare al passato remoto, in quanto assai curioso. I verbi appartenenti alla seconda e terza coniugazione (- ere, - ire), e che sono composti da più di due sillabe, come nascere, morire, apparire, si trasformano rispettivamente come segue (per semplificare, indico solo la terza persona singolare): nascétte; morìtte, apparitte (qui mi colpisce l'analogia con i dialetti campani!). Tuttavia, questo peculiare adattamento del passato remoto sta cadendo in disuso (non sentirete mai dire ad un giovane versilese "moritte" o "apparitte"!).

Ovviamente, la"versiliesizzazione" dei verbi, non riguarda solo il modo indicativo, bensì anche il congiuntivo: "mi pare vadi via" anziché "mi pare vada via", "credo siìno arivati" (siano arrivati), "speriamo venghi 'l sole" (venga) oppure "se facéssite, se andàssite, se fóssite" anziché " se faceste, se andaste, se foste".
Un'ultima curiosità:
I verbi contenenti il fonema “gl”, come “scegliere, sciogliere, cogliere”, alla terza persona plurale diventano: scèglino, sciòglino, còglino (nel versiliese più arcaico rispettivamente: scèlgino, sciòlgino, còlgino).

20090325

Dialetto e letteratura

Più che proporre un termine romanesco vorrei contribuire, con una citazione, a quello che secondo me è il vero scopo di questo blog: sottolineare l'importanza socio-culturale del vernacolo, l'immediatezza comunicativa nel descrivere, oltre il significato stesso dei termini, le tradizioni, le caratteristiche, le sfumature proprie di una regione, provincia, comunità senza filtri lessicali. Come scrisse Contini, a proposito di "Ragazzi di vita" di Pier Paolo Pasolini, l'adozione della lingua del luogo è "un'imperterrita dichiarazione d'amore" nei confronti del mondo reale. Infatti, nelle poche righe di seguito tratte da "Ragazzi di vita", Pasolini descrive una zuffa tra cani proprio utilizzando lo stesso dialetto dei loro padroni con i quali dividevano le borgate, la fame, la miseria.
Simili tra loro, parlano la stessa lingua, quella della strada:


..."Daje, a Lupo, daje, daje" sussurrava Armandino ancora piegato sull'orecchio del suo cane, mentre i ragazzini lo incitavano anch'essi, gridando come scimmie, facendo una caciara che li sentivano fino a Tiburtino. Il Lupo, ingenuo, si lanciò dietro alla cagna, che stava ancora zitta, abbaiando a squarciagola, facendo un po' di moina. "Mo però me pare che te gonfi un po' troppo," parve pensare la cagna, soffermandosi, "per carattere mio!" E dopo un istante:"Ma li mortacci tua," sbottò a urlare, perdendo tutt'a un botto la pazienza..."A zozzona, a carogna, è inutile che me guardi tanto, sa?!" gridava il Lupo furibondo, "che tanto me nun me impressioni!" E l'altra zitta. "Mo si nun dichi quarcosa," minacciò Lupo, "t'ammollo na pignata che te stacco 'a testa!"
"Aaaah, sei carino sei!" disse l'altro cane intervenendo nel discorso.
"Mbè?" fece Lupo con uno scatto verso di lui, che scappò, "ma che va cercanno mo sto disgrazziato?" La cagna mollò un ringhio. "Fatte un ringhio su sto cazzo" urlò Lupo.
"Mo basta," scattò la cagna, "già me so stufata, ce lo sai sì?" Si voltò completamente di fronte. "Potessi cecamme," fece poi urlando del tutto infuriata, "ma pe na soddisfazzione me faccio pure trent'anni de Reggina Celi!"

jattu

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20090324

a proposito di verbi parte prima

La prima, banalissima, constatazione è che gli infiniti dei verbi vengono sistematicamente “troncati”.
S'ha a dì d'anda'?
(pronunciato "saddìddanda'? letteralmente "si ha a dire di andare?" = "Insomma, andiamo o no?")
Non si tratta certo di una prerogativa versiliese, in quanto è ciò che accade nella maggior parte dei dialetti centro-meridionali. E quindi: mangià, dormì, core (correre), e così via.
I riflessivi, come già accennato in precedenti post, perdono la “r” che viene sostituita da una “s” (si ha un fenomeno di assimilazione consonantica, in quanto la “r” si uniforma alla lettera che segue, una “s” appunto): alzassi, véstissi, lavassi, stancassi, ecc. Da notare che, per quanto riguarda i verbi appartenenti alla seconda coniugazione (quelli che terminano in ere) la “e” si trasforma in “i”: ricrédisi (ricredersi), illùdisi (illudersi), imbàttisi (imbattersi), ecc. Vengono accorciati anche i participi passati dei verbi appartenenti alla prima coniugazione (- are) e costituiti da più di due sillabe: bagno (bagnato), lascio (lasciato), tronco (troncato), lavo (lavato), ecc. Mentre i participi passati dei verbi appartenenti alla seconda e terza coniugazione, rimangono, di solito, invariati (dico "di solito", perchè proprio ora mi viene in mente "sentuto", che si usa in luogo del corretto "sentito", oppure "ditto" per "detto", "misso" per "messo"). Tra i participi passati dei verbi modali, troviamo “volsuto” al posto di "voluto" e "poduto" anziché "potuto". Per quanto riguarda la coniugazione dell’ausiliare “essere”, cambiano solo le tre persone del plurale. Quindi, nel caso dell'indicativo presente, abbiamo “sémo” (siamo); “sète” (siete); “ènno” (sono); nell’imperfetto, avremo “èrimo” (eravamo); èrite (eravate); èrino (erano). Nel congiuntivo imperfetto, troviamo "fussi, fusse, fùssimo, fùssite". La coniugazione dell’ausiliare “avere” all'indicativo presente rimane invariata rispetto all’italiano (a dire il vero, mi è capitato di sentire “abbiémo” al posto di “abbiamo”, come del resto anche per alcuni verbi non ausiliari, "andiémo via!", ma si tratta di una forma assai desueta). Nell’imperfetto, invece, troviamo : “avévimo” (avevamo); avévite (avevate); avévino (avevano). Talvolta, si fa un uso improprio dell'ausiliare avere, laddove lo si impiega al posto della cotruzione pronominale con il verbo essere. Per esempio: "hanno sposato in Chiesa" in luogo del corretto "si sono sposati in Chiesa".

20090323

freche

Freché, bambino; frechéne, bambina; freché e frechéne, con una sfumatura di i nella é ove la voce posa, ad Acquaviva e Monteprandone; frechì e frechìne, con una sfumatura di é che va man mano illanguidendo avvicinandosi all'ascolano, a Ripatransone, Monsampolo, Spinetoli, Colli, Castorano, Castel di Lama, Offida, Cossignano e Rotella; fricu e frica a Grottammare, Montedinove, Cupramarittima, Massignano, Campofilone, Pedaso, Montefiore e Carassai (a Cupra, in luogo di frica usato anche frechìne). Ad Ascoli frechì e frechìne.

Ps. Buondì, incomincio così, dai più piccoli, la collaborazione con questo simpatico multiblog


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similia tag | cèo ¬ bòcia ¬ tóso ¬ gnaro ¬ frégo ¬ fantolìn

mézzo

Da pronunciarsi métso, con la "e" chiusa e la "z" sorda (quella di "ozio", per intenderci). E' sinonimo di bagnato fradicio. "Un'no vedi che sei tutto mézzo? Vatti a cambià!". Termine usato lungo il litorale tirrenico da Pisa a Viareggio. Spesso, contiene in sè una sfumatura di sgradevolezza, fino ad assumere quasi il significato di sporco e putrido.
Questo post mi è stato ispirato da Fausto, nel momento in cui mi ha svelato l'esistenza di un gruppo musicale chiamato, appunto, i "Gatti mézzi" (vedi qui
), che compone i testi dei propri brani rigorosamente in vernacolo pisano. Io li ho trovati molto pittoreschi...

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similia tag | mói

20090322

pocio

fangoPòcio = fango, poltiglia, melma;
intingolo; anche roba spregevole, cosa di poco conto.

Pociàre = intingere, immergere in un liquido.

Termine di origine imitativa, da "pocc pocc" rumore di chi pesta i piedi nel fango o di chi intinge.

La locuzione "El va sempre a pociàre da altri", va sempre a mangiare dagli altri, va intesa in senso spregiativo: copia dagli altri.


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similia tag | biuta

tordello

Il tordello (rigorosamente fatto a mano) è un tradizionale primo piatto della Versilia e della Lucchesia. È un tipo di pasta ripiena di carne di manzo, maiale e bietole, condita con ragù.

Ricetta per 4/5persone: 300 gr di carne di manzo e maiale, odori, una fetta di pane, due cucchiai di parmigiano e uno di pecorino grattugiato, due uova, peporino (Thymus serpyllum), un ciuffo di prezzemolo, sale e pepe.
Arrostite le carni in una casseruola (meglio: in una "cazzarola"!) con un eventuale fondo di odori misti poi tritate finemente il tutto aggiungendo, una fetta di pane ammollato nel brodo, il formaggio grattugiato, 2 uova, le foglie di un rametto di peporino (o pepolino) (Thymus serpyllum) , un ciuffo di prezzemolo tritato, sale e pepe. Mescolare bene finché tutti gli ingredienti si siano ben amalgamati. Per ingentilire l’impasto si può aggiungere alle carni anche un petto di pollo, sempre cotto assieme alle carni di cui sopra e ben tritato. Aggiungete ancora , una pallina di bietola lessata e un po' di ricotta. Il pane, oltre che nel brodo, si può ammollare anche nel latte. Preparare la pasta mettendo tanta farina quanta ne possono incorporare 4 uova intere; aggiungere una presa di sale, lavorare a lungo e spianarla sottilissima in lunghe strisce larghe una mano. Disporre su di esse a regolari intervalli piccole cucchiaiate di ripieno, ritagliare ogni tordello utilizzando un bicchiere capovolto, avvolgere e chiudere a mò di "mezza luna" e sigillare i bordi con l'ausilio di una forchetta (otterrete le tipiche rigature del tordello caserreccio). I tordelli pronti saranno allineati su una tovaglia precedentemente infarinata. Una volta lessati, condirli a strati in una zuppiera, con sugo di carne e con abbondante formaggio parmigiano grattugiato.

Curiosità: il termine viene usato anche con altra accezione: "Insomma 'l damo* ala fine l'ha tròvo anco le' lì, però a me mi pare un tordello" (anche "tordellone" o "tomello" o "tomellone" = bietolone, sempliciotto, uomo non molto sveglio).

*damo/dama = fidanzato/fidanzata

20090320

è capace che vada a piovere

La locuzione "è capace che..." sta a significare la forte possibilità che accada qualcosa. "E' capace che venghi la Susanna a trovammi" (rivisitazione versiliese del congiuntivo), "E' capace che un mi chiami più", ecc. ecc. Ho fatto qualche approssimativa ricerca su Google e sembra che non sia un'espressione esclusivamente toscana, bensì usata in tutto il centro-sud. Vi risulta?

20090319

imega

Imega = Lumaca.

Da qui il termine "imegoso" o "imigoso" riferito a persona viscida/appiccicosa.

Nota: l'immagine è tratta dal film Giù per il tubo. Questo per non turbare la sensibilità di chi prova ribrezzo nel vedere questi animali.
La vera autentica lumaca/imega è questa.

Gundùn

Traduzione di preservativo o condom in ligure.
Tale termine viene usato anche come aggetto qualificativo, per indicare una persona poco affidabile.
Nalla canzone "Creuza de mà", Fabrizio De André cita il "gundùn" come sostantivo, riferendosi alla possibilità di non usarlo accoppiandosi con ragazze di buona famiglia, con le quali, si presume, non si corrano rischi di malattie veneree.

20090318

capa

openclipart.org

capa  (s.f.) | conchiglia
capasanta (s.f.) | pettine di mare
capalonga (s.f.) | cannolicchio

20090317

sinque schei de mona


Sinque schei de mona

in scarsea ghe fa ben a tuti


Fare un pò il tonto può essere ad ognuno di vantaggio

20090316

sciagatta'

Oggi pomeriggio, raccontavo a qualcuno che stamani "il dentista m'ha sciagattato", ed è la sacrosanta verità!!! Sciagattà: maltrattare, ridurre male...ma proprio male!
Si può usare anche riferendosi ad oggetti dall'aria decisamente usurata: "Ma dove vai con quella borsa tutta sciagattata?" (in pessime condizioni).
"Un ti mette' le scarpe nóve con questo tempaccio, ché le sciagatti!" (le rovini).

20090313

Volgar'Eloquio - Il dialetto, le radici, la differenza

Dalla vostra corrispondente da Milano (meglio tardi che mai).

E' cominciata così, con la sfilata per le vie del centro della Mid South Highland Pipes and Drums Band e al suono di tamburi e cornamuse, la rassegna Volgar'Eloquio, che per alcuni giorni ha trasformato Milano in un laboratorio di divulgazione e riflessione sulle tradizioni dialettali della nostra penisola.

22 gli eventi in programma, tutti presi d'assalto dal pubblico.
Nei teatri ad aprire la festa dedicata al sorprendente mondo dei dialetti è stato il viaggio de I Milanes' attraverso quattro secoli di vita milanese, dalla peste alla guerra, dalla politica al sesso, raccontati da grandi scrittori in lingua e in dialetto come Carlo Porta, Alessandro Manzoni, Emilio De Marchi, Delio Tessa, Giuseppe Parini e Vespasiano Bignami. Poi è toccato alla lezione di Ferruccio Soleri, lo storico intreprete milanese del goldoniano Arlecchino servitore di due padroni, lo spettacolo di prosa più rappresentato al mondo.
Ancora, in un travolgente susseguirsi di appuntamenti, è stata la volta del racconto Bibbiù, in dialetto bresciano, portato in scena dal suo autore Achille Platto, che ha voluto calare in un contesto contadino da "scarpe grosse e cervello fino" i principali passi del Vecchio e del Nuovo Testamento, imprimendo loro un irresistibile taglio grottesco e dissacrante.
Seguitissimo anche il convegno intitolato Cosa ce ne facciamo del dialetto? al Teatro Dal Verme, un momento di formazione in cui studiosi, giornalisti ed organizzatori culturali si sono confrontati sul ruolo e sul valore delle lingue dialettali nella società contemporanea, affrontando temi come la resistenza all'omologazione e il futuro della varietà linguistica, italiana e non.
Naturalmente non sono mancati nemmeno appuntamenti più leggeri, pensati per i bambini, come i giochi ispirati all'universo divertente della Commedia dell'Arte, fatto di travestimenti, acrobazie, equivoci e personaggi bizzarri, al Circolo Filologico Milanese.

Gli incontri, compresi quelli apparentemente più noiosi come le lezioni di storia della lingua che sono state tenute in alcune università milanesi, hanno registrato il tutto esaurito, lasciando piacevolmente spiazzati persino i loro stessi organizzatori, che in alcuni casi hanno faticato non poco a gestire gli spazi e a contenere i tempi degli spettacoli.


Un entusiasmo insperato hanno dimostrato, ad esempio, i partecipanti alla full-immersion nella lirica dialettale contemporanea che si è svolta sabato 7 marzo nella saletta "Scatola Magica" del Piccolo Teatro Strehler.
Nel corso della singolare maratona si sono alternati autori di diversa provenienza:

- Franca Grisoni, da Sirmione, che ha letto con alcune delicatissime poesie d'amore tratte dalla sua raccolta La Giardiniera;
- Achille Serrao, napoletano, con alcune poesie ispirate dall'osservazione dei passanti e degli angoli delle strade della sua città natale;
- Remigio Bertolini, piemontese, che ha recitato una commovente poesia ambienteta nei primi anni Cinquanta, su un gruppo di piccoli orfani maltrattati e sfruttati dalle famiglie adottive per il lavoro agricolo e sulle montagne;
- Nelvia Di Monte, che ha dedicato il suo intervento alla lettura di alcune lettere in stretto dialetto friulano scritte nell'immediato primo dopoguerra dagli emigrati in Argentina, avviando poi un discorso sulla dolorosa questione dell'identità, delle radici e della nostalgia;
- Edoardo Zuccato, da Milano, che parlando del Po ha trattato del rapporto tra uomo, fiume e natura attraverso le atmosfere e le immagini della tradizione letteraria irlandese, intrisa di magia e suggestione e solita rappresentare la vita come un groviglio di elementi naturali;
- Franco Loi, nato a Genova da una famiglia sarda ma affezionato al dialetto meneghino, che ha presentato alcune delle sue più limpide e sincere poesie su Dio;
e, in videoconferenza rispettivamente da Santarcangelo di Romagna e da Pieve di Soligo, due pilastri della letteratura dialettale italiana quali Tonino Guerra, che ha parlato del suo lavoro di sceneggiatore con Federico Fellini, e Andrea Zanzotto, intervenuto con una bella riflessione sul dialetto come "il sorriso dei vecchi d'altri tempi".

Tutti gli autori, per la lettura in traduzione delle poesie, hanno potuto contare sull'aiuto di due giovani attori della scuola di recitazione del Piccolo, a dir poco meravigliosi (e non solo artisticamente, credetemi).

Marco Paolini sul palco del Teatro Dal Verme
(Foto da Flickr).

Grandissima partecipazione (molto oltre le aspettative, con tanto di un principio di rissa all'ingresso della sala per accaparrarsi i posti migliori) ha ottenuto anche il recital del bravissimo Marco Paolini al Teatro Dal Verme, domenica sera.
Complici l'intensità della sua recitazione, la potenza della sua mimica e la musicalità dolce e un po' malinconica del dialetto veneto, nonchè la bellezza espressiva di alcuni degli esiti più alti della poesia dialettale del secondo Novecento, con lui si è raggiunto il momento più emozionante dell'intera manifestazione. Attraverso la sua voce hanno preso la parola maestri come Andrea Zanzotto, Ernesto Calzavara, Giacomo Noventa, Biagio Marin e Luigi Meneghello, in una rievocazione triste e arrabbiata dei cambiamenti troppo veloci e delle ferite mai rimarginate che la mano dell'uomo "industriale" nel corso dell'ultimo secolo ha inflitto all'aspetto della terra veneta e, di conseguenza, al cuore dei suoi abitanti.
Un pezzo applauditissimo, di forte partecipazione emotiva (all'uscita ho visto volti rigati dalle lacrime), e segnato da un uso della corporeità molto affascinante, forse perché, proprio come il dialetto, essa si fa strumento di espressione istintiva di bisogni immediati. Davvero coinvolgente.


Lunedì 9 marzo, il giorno di chiusura della manifestazione, è stata quindi la volta di Antonella Ruggiero, che ha tenuto un concerto (chiuso al pubblico) per le detenute dell'Istituto Casa Circondariale di San Vittore, in occasione della festa della donna.
La prestigiosa voce della musica italiana ha voluto cantare storie di una Milano antica, che conosceva valori e speranze diversi da quelli di oggi, così omologati a modelli globali. "Racconti -ha detto la cantante al quotidiano la Repubblica- di ordinaria quotidianità, di uomini e donne che vivevano ai margini, in quartieri di periferia che esistono ancora, ma che oggi sono diventati grandi supermercati dove la solidarietà non si trova più. Posti dove adesso vivono persone che vengono da lontano, dalle aree del mondo da dove si fugge per cercare fortuna. Anche se spesso non la si trova, e si finisce in carcere". Molte delle donne per cui ha cantato in effetti sono straniere, ma lei ha dichiarato di non essere stata troppo preoccupata dai probabili problemi di comprensione del dialetto: "La mia esperienza mi ha sempre confermato che la musica arriva comunque, che va oltre le parole" ha spiegato, e si è augurata di essere stata capace, per il tempo di un concerto, di far tornare le sue spettatrici "con al mente e con il cuore nei loro luoghi, fra le persone che amano".
Spero anch'io ci sia riuscita. Conoscendo le potenzialità della sua voce, non sembra cosa affatto improbabile.


Davide Van De Sfroos,
attualmente in giro per l'Italia con il suo Pica! Tour Teatrale
(foto da Flickr).

La giornata è poi proseguita all'Università Cattolica di Milano, con una singolare lezione-spettacolo con performaces sul tema del dialetto in musica tenuta dal cantautore in dialetto comasco Davide Van De Sfroos e da alti insegnanti d'eccezione come Patrizia Laquidara (siciliana interprete di musica popolare veneta e lombarda), il gruppo milanese Teka P e alcuni esponenti del movimento Taranta Power di Eugenio Bennato.

La manifestazione si è infine chiusa con una pioggia di note e meritatissimi applausi, all'atteso concerto di Davide van De Sfroos, Patrizia Laquidara con Hotel Rif, Taranta Power e Teka P al Teatro Dal Verme, dove si è potuto assistere al felice incontro fra le tradizioni antiche delle lingue dialettali e le sonorità e i ritmi moderni del rock e del pop.


L'idea di questo festival è venuta all'Assessore alle Culture, alle Identità e alle Autonomie della Regione Lombardia Massimo Zanello, ed è stata realizzata in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano e con la consulenza del professor Franco Brevini, studioso di letteratura italiana all'Università di Bergamo e grande esperto di dialetti.
L'iniziativa si inserisce in un progetto più ampio di tutela e sostegno della "cultura immateriale" che si rifà alla parola, previsto e finanziato da una recente legge della Regione Lombardia.

E' stata senza dubbio una scelta coraggiosa, quella di investire in un settore di nicchia come quello della divulgazione della letteratura dialettale, in questi tempi di difficoltà economiche e di tagli indiscriminati alla cultura e allo spettacolo non televisivo. Altro aspetto lodevole dell'iniziativa, il sentimento che l'ha animata, che è sembrato essere, per una volta, l'autentico amore per la conoscenza e la storia del nostro paese, e non l'interesse economico (tutti gli spettacoli erano a ingresso libero, ad eccezione del concerto di Van De Sfroos, al più che accessibile prezzo di cinque euro).
Lo scopo che i curatori del festival si augurano di aver raggiunto è quello di aver avviato un serio percorso di salvaguardia e valorizzazione delle tradizioni locali, che possa slegare il concetto di identità dalle volontà di protezionismo estremo, di chiusura e di intolleranza per trasformarlo al contrario in un'àncora di sicurezza, di contatto e di ritrovo per i momenti di sbandamento nei valori che possono mettere a repentaglio la sopravvivenza delle piccole comunità.
Altro obiettivo che Volgar'Eloquio spera di onorare, se sarà riproposto in futuro, è coinvolgere e appassionare alla conoscenza delle parlate popolari i giovani, che magari masticano benissimo l'inglese, ma che sempre più spesso non capiscono la parlata degli anziani, non sanno l'origine delle parole più rappresentative del loro dialetto, si dimenticano i modi di dire dei loro paesi e, con essi, il mondo dei loro nonni, la loro origine e la memoria della loro terra.


Vi lascio con uno spunto di riflessione.
Secondo i dati dell'Unesco ogni due settimane nel mondo scompare una lingua, e solo in Italia sono 31 i dialetti a forte rischio di estinzione. Se ci si ferma un attimo a ragionare su queste cifre e a immaginare cosa significa la perdita di un idioma, forse ci si può rendere conto dell'urgenza con cui sarebbe bene riscoprire e proteggere i nostri preziosi "volgar'eloqui". Perchè quando muore una lingua non spariscono solo l'alfabeto e i suoni che la compongono, ma si perde traccia della cultura che attraverso di essa è stata costruita, si rinuncia al ricordo del popolo che la parlava, si elimina la varietà e la ricchezza di pensiero di cui ogni sua più lieve inflessione è stata testimone. Si getta via nel tempo, pezzetto dopo pezzetto, la nostra storia.

A me piace pensare che con Dialetticon, nel nostro piccolo, qualcosa per scongiurare questa eventualità la stiamo facendo anche noi.


Ross

par diviso

"E' ridicola da morì con quel vestito, ma mi tocca digli che sta bene, sennò par diviso d'esse'nvidiosa!". Non riesco a risalire all'origine di questa curiosa locuzione, molto usata nella Versilia cosiddetta storica, ma anche a Viareggio. "Un ho mia tanta voglia d'andà a cena a casa sua, però mi tocca andacci, sennò par diviso di un vole' vede' su' ma'".
Più o meno si può tradurre con "potrebbe sembrare che...", ma enfatizza particolarmente la preoccupazione che qualcosa sembri fatto apposta, perseguendo una finalità malevola.

20090312

pulcra

giacintoPùlcra = Giacinto
dal latino "pulcher" = bello

20090311

brusco

brusco (s.m.) | foruncolo, brufolo
dal lat. bruscum = nocchio dell'acero

20090310

selvaggiume

E' quella fastidiossima, e pruriginosa, irritazione cutanea che ci colpisce spesso durante un picnic in campagna o un'escursione in un bosco...Insomma, in tutti quei luoghi coperti da fitta vegetazione spontanea, ed è causata da una moltitudine non ben definita di insetti o acari. A dire il vero, non so da cosa sia causata esattamente, però immagino che si tratti di piccoli insetti o acari!

20090309

fólpo

openclipart.org
Abruzzo: Fulbo, Fulpo - Calabria: Pruppu* - Campania: Purpo verace, Purpo 'e scoglio - Friuli Venezia Giulia: Folpo, Folpo-tòdaro - Lazio: Polpo di scoglio, Porpo di scoglio - Liguria: Purpu* - Marche: Folpo - Puglia: Vurpe, Pulp, Purpu - Sardegna: Pruppuéru, Purupu, Pruppu-i-terra - Sicilia: Purpu, Puppu, Pruppu - Toscana: Polpo di scoglio, Porpo di scoglio - Veneto: Folpo, Folpo-toto.
* voci da confermare...

20090307

a proposito di vocali


Poiché non esiste un testo serio ed organico che tratti il vernacolo versiliese, sto facendo alcune considerazioni per conto mio e, prima o poi, chissà, provvederò alla stesura dell’opera mancante!
Proprio ieri, riflettendo sulle vocali “e” ed “o”, ho riscontrato che, molto spesso, laddove in italiano le suddette vocali sono aperte, in versiliese subiscono un fenomeno di chiusura, e viceversa.
Alcuni esempi di conversione di “é” in “è” e di “ó” in “ò”:
Baléna: balèna
Perché: perchè
Stélla: stèlla
Créta: crèta
Óra: òra
Lóro: lòro
Alcuni esempi in cui si verifica il fenomeno opposto (la vocale aperta diventa chiusa):
Intrèpido: intrépido
Crèpa (sostantivo): crépa
Flèbile: flébile
Mèglio: méglio
Ho (verbo "avere"): hó
Sò (verbo "sapere"): só
Oggi: óggi
(talvolta, la tendenza a “chiudere” queste vocali è talmente esasperata che si arriva ad alcuni "eccessi", come "ditto" ="détto" e "cùpriti!" = "copriti!" )
Il dittongo “uo” si trasforma in “ó” (indipendentemente dal fatto che nel dittongo in questione la “o” sia aperta o chiusa), con l’eccezione di “òmo” (uomo) in cui la “o” rimane aperta. Faccio alcuni esempi:
uòvo: óvo
ruòta: róta
vuòto: vóto
buòno: bóno
nuòto: nóto
nuotare: nóta’
casseruola: cazzaróla
In alcuni casi il dittongo “uo” rimane invariato, come nei seguenti sostantivi: “cuore”, “suora”, “cuoco”, “tuono”, “suono” (i verbi “tuonare” e “suonare” diventano, però, rispettivamente “tóna’” e “sóna’’’).
Lo stesso fenomeno di chiusura vocalica si verifica nel dittongo “ie” (anche se, in questo caso, il dittongo viene quasi sempre mantenuto, tranne in alcune forme verbali come “téni!” al posto di “tieni!”):
Tièpido: tiépido
Piède: piéde
Biètola: biétola (anzi, in versiliese è “biéta”)
Liève: liéve
Fièno: fiéno
Pièno: piéno
Chièsa: chiésa
Anche qui, però, esiste qualche eccezione: ad es., la seconda persona singolare dell’imperativo del verbo “venire”, è “vèni!” (si mantiene la “e” aperta) e non “véni!”.
Certamente, per dare un senso a quanto scritto, dovrei scoprire il meccanismo in base al quale determinati fenomeni linguistici avvengono. Dovrei analizzare, caso per caso, il contesto fonetico e sillabico in cui le vocali si trasformano e pervenire, quindi, alle leggi che regolano tali mutazioni! (ehm...) Per ora mi sembra abbastanza intuitivo soltanto il fenomeno di "chiusura" vocalica nel dittongo: la vocale che si chiude, lo fa “uniformandosi” il più possibile alla vocale che la precede (la “o” che segue una “u” si chiude, così come succede alla“e” che segue una “i”).

20090306

sanco

Sanco = Mancino.

Questa è la mano di un mancino famoso. Lo riconoscete?

vedere il culo al lupo

L'hai visto il culo al lupo, eh?
Si dice ad una persona che è reduce da un grande spavento, oppure, meno drammaticamente, ha temuto qualcosa, sia in senso di minaccia fisica, che morale o psicologica. Potremmo, più o meno, esprimere lo stesso significato con "te la sei vista brutta, eh?".

20090305

Ciao Vito

da La Gazzetta del Mezzogiorno:

Muore Vito Maurogiovanni, lutto cittadino a Bari

Vito MaurogiovanniL'Amministrazione comunale di Bari ha proclamato per oggi, giovedì 5 marzo, il lutto cittadino per la scomparsa di Vito Maurogiovanni, voce autentica della baresità, cantore della storia cittadina, poeta, sceneggiatore, giornalista, indimenticabile interprete della vita e delle tradizioni popolari.
La camera ardente per Vito Maurogiovanni sarà allestita a partire dalle 12 nella sala consiliare «Enrico Dalfino» di Palazzo di Città. Per questa ragione il Consiglio comunale, già convocato per questo pomeriggio, è stato rinviato a lunedì 9 marzo alle ore 17.30.

Ammalato da tempo e ormai impossibilitato a parlare, Maurogiovanni era un ottantenne giovane nello spirito oltre che nel sorriso che aveva trovato nel web una nuova forma per comunicare. Aveva infatti fondato un sito e animava da quattro anni un blog attraverso cui ha continuato a raccontare fino alla fine le sue storie e a far sorridere con la sua ironia. Era nato il 27 dicembre del 1924 nel retrobottega del caffè di suo padre. Ha scritto una trentina di libri e altrettante commedie. Il suo nome è particolarmente legato alla pièce teatrale Jarche Vasce, racconto in vernacolo della città vecchia e della sua umanità che da anni viene messo in scena dal Piccolo teatro di Eugenio d’Attoma.


Proverbio della Candelora

La Madonna Candelora
dell'inverno semo fora,
ma se piove o tira vento
dell'inverno semo dentro;
sole o solicello quaranta dì d'invernicello.


Celebre proverbio di cui esistono numerose versioni e varianti regione per regione: se il 2 febbraio il clima è mite il resto dell'inverno sarà clemente, se è rigido lo sarà anche il resto della stagione. Anche nel presente inverno si è dimostrato attendibile!

vedi anche: candelora

discreti



"Guarda com'è discreto lu' lì!"
Discreto/a: avvenente, di bell'aspetto, affascinante.

Festival del dialetto/2

Prosegue da qui.



Volgar'Eloquio, viaggio al centro del dialetto

Per cinque giorni, dal 5 al 9 marzo, la città di Milano sarà il palcoscenico di Volgar'Eloquio, un viaggio nelle radici della nostra cultura attraverso concerti, recital, pièces teatrali, letture di poesia, lezioni-spettacolo nei luoghi simbolo della città -dal Piccolo Teatro alla Basilica di San Marco, dal Teatro dal Verme alla casa circondariale di San Vittore.

Dal 6 all'8 marzo la banda scozzese The Mid South Highland Pipes and Drums animerà le vie del centro città, da Piazza Castello a San Babila, al suono di cornamuse, con i musicisti che indosseranno i tradizionali kilt scozzesi.
Molto atteso il concerto di Antonella Ruggiero, lunedì 9 marzo, nella sezione femminile della Casa di san Vittore. Al Teatro dal Verme Max Rigano condurrà invece una serata all'insegna dell'incontro fra lingue dialettali e sonorità moderne con Davide Van De Sfroos, Patrizia Laquidara con Hotel Rif, Taranta Power e Teka P -attesi in giornata per una curiosa lezione-concerto all'Università cattolica di Milano.
Giovedì 5 marzo al Circolo Filologico milanese è di scena I Milanes', un viaggio attraverso quattro secoli di vita milanese raccontati da grandi scrittori in lingua e in dialetto come Porta, Manzoni e De Marchi, mentre dal 6 all'8 marzo Piero Mazzarella e Giulia Lazzarini sono le voci prestigiose dello spettacolo Milano, città dei dialetti.
Tre grandi interpreti della scena contemporanea saranno i protagonisti di altrettante serate di recital: Franco Branciaroli sabato 7 marzo nella Basilica di San Marco, Marco Paolini domenica 8 marzo al Teatro dal Verme, e Toni Servillo lunedì 9 marzo nella Basilica di San Marco. Imperdibili, infine, le due lezioni-spettacolo di Ferruccio Soleri, il mitico "Arlecchino" del Piccolo Teatro (6 e 9 marzo).
Tutti gli eventi sono a ingresso libero, ad eccezione del concerto al Dal Verme di lunedì 9 marzo (5 euro). La prenotazione è obbligatoria.

(da City Milano, 4 marzo 2009)

Per approfondimenti, orari e prenotazioni, visitare i siti www.volgareloquio.it e www.piccoloteatro.org.


Vi aspetto!

20090304

spagna

openclipart.org
L'Erba medica (Medicago sativa), detta anche Alfa-alfa (dall'arabo al-fal-fa "padre di tutti i cibi"), è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Fabaceae (o Leguminose). Pianta foraggera per eccellenza, può essere utilizzata come coltura da fieno, insilati, per produrre farina disidratata.

20090303

entrante


openclipart.org
Entrànte = aitante, prestante, fiero
anche arzillo riferito a qualche anzianotto vispo

20090302

cristo

cristo (s.m.) | (in edilizia) puntello a croce

20090301

potta


Come noto ai più, il termine pòtta sta ad indicare i genitali femminili. In Versilia è però diffusissimo nelle espressioni esclamative, in particolare quelle che denotano sorpresa e meraviglia. Si sprecano, quindi, i vari: "pòtta, mì òmo!", "pòtta, Catè!" (questa fantomatica Catè - che sta per Caterina - ricorre anche in altre espressioni, tipo "bòna, Catè!", quando ci si rivolge a qualcuno che non capisce, o finge di non capire, ciò che gli viene detto); "póttarina!", "pòtta pòtta!" (quest'ultimo esprime, ancor più che sorpresa, una certa preoccupazione al cospetto di una situazione critica).
Da pòtta derivano, però, anche sostantivi quali: póttàta, es. "quante pottate!", "lu' lì è piéno di pottate!", che si potrebbe tradurre riduttivamente con "cazzate", ma in realtà contiene anche una connotazione di autocompiacimento nell'ostentare, un'attitudine a fare le cose in grande e, infatti, chi vive di pottate è un pottone, o una pottona; pòtta pari, ossia una donna che non si scompone, che non si strapazza certo di lavoro, non si affatica in nessun modo e pretende che tutto le sia servito su un piatto d'argento; pòtta tiépida (mi raccomando la "é" chiusa), una di quelle donne "noiose", che spesso risultano pesanti da sopportare, riconoscibili in genere già dal modo di parlare, per lo più infantile e cantilenante, ma anche dalla predisposizione a considerare problematiche delle situazioni che non hanno niente di serio. Una pòtta tiépida, ad esempio, non va in motorino perchè il casco le rovinerebbe l'acconciatura, per lo stesso motivo eviterà di fare il bagno al mare oppure, come la Bellucci, la testa non la muove proprio per non spettinarsi! Al ristorante ordinerà solo un'insalata per il terrore di ingrassare, spesso si lamenterà per un mal di testa, o un mal di stomaco, o per la stanchezza, e via di seguito.

 
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