Visualizzazione post con etichetta grafomania. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta grafomania. Mostra tutti i post

20100404

etimo: dialetto

etimo.it
[etimo.it]

20090729

esse sonora

Se per rappresentare il suono della L veneta è stato individuato un segno ritenuto idoneo da un rilevante numero di linguisti e scrittori (e denominato elle evanescente), manca un’efficace modalità di notazione che – in modo immediato e intuitivo – renda graficamente distinguibili altri suoni di uso comune nella Lingua veneta (e non solo) come, ad esempio, la esse sonora. Nelle trascrizioni della esse sonora veneta si riscontra infatti un uso indistinto dei segni S, X e Z: il corrispondente veneto dell’italiano “radici” si può pertanto trovare trascritto come raìse, raìxe e anche come raìze; così come l’italiano “taci”, può essere reso sia con tasi, sia con tazi ma potrebbe anche trascriversi come taxi (davvero impraticabile per evidenti motivi). Vale la pena soffermarsi su alcuni aspetti.

Per la S non sonora o sorda
[fricativa alveolare sorda -
ital. sole, sasso, asfalto, morso]

si utilizza il segno S:
nelle trascrizioni talvolta si opta per un raddoppio della S sorda intervocalica, ma ciò induce il lettore alla produzione di doppie lettere laddove in realtà non esistono: musso (asino) dovrebbe infatti trascriversi come muso… ma nel perseguire una corretta notazione (in veneto non esistono doppie lettere), si rischia di indurre nel lettore non veneto un’analogia con l’omografo termine italiano “muso” (faccia). In taluni casi l’uso italianizzante della doppia lettera è preferibile - ancorché sostanzialmente scorretto: Venèssia, venessiàn alla lettura risulterà più comprensibile del corretto Venèsia, venesiàn. “Venexia, venexiàn” è invece una malintesa trascrizione, dato che la X si pronuncia come la sonora dell’italiano “rosa”, mentre in questo caso è richiesta la S sorda;
per la S sonora
[fricativa alveolare sonora - ital. naso, rosa, musica, asino]

si utilizzano:

il segno S, che rende quasi inevitabile per il lettore non veneto la confusione da omografia con il segno della S sorda;

il segno X, in progressiva dismissione, è classicamente associato al presente-terza-persona (“è”). Può dare adito a svariati malintesi in lettura in quanto ampiamente utilizzato nelle trascrizione di altre Lingue, tra cui il Ligure, per esprimere suoni diversi;

il segno Z, probabilmente il più funzionale, può tuttavia sviare verso la pronuncia di un suono che nella Lingua veneta non esiste (la zeta italiana).

Più che di perfetta interscambiabilità, in defintiva sembra trattarsi di un uso che varia secondo i codici di riferimento, la posizione della esse sonora all’interno della parola, la consuetudine…

20090326

a proposito di verbi parte seconda

La sostituzione della “a” con la “i” nel suffisso dell'indicativo imperfetto, avviene sistematicamente anche nei verbi non ausiliari e, quindi: mangiàvite – con accento tonico sulla seconda sillaba; mangiàvino; córévite (correvate), córévino (correvano), mentre la prima persona plurale (mangiavamo, correvamo) viene sempre sostituita con la forma impersonale: noi si mangiava, noi si coréva, ecc. (del resto, questo avviene anche nel presente: noi si mangia, noi si córe, noi si gioca, ecc. in luogo di “noi mangiamo”, “noi corriamo”, “noi giochiamo”). Nel verbo modale "potere", la "d" si sostituisce alla "t" e spesso viene lasciata cadere la "v": podéa, podéino. Anche nell’imperativo dei verbi riflessivi, la “a” diventa “i”: “lèviti di torno!” (levati da torno); “làviti le mane!” (lavati le mani). Nell' indicativo presente, cambia la terza persona plurale: màngino (mangiano); càmbino (cambiano), gióchino (giocano); córino (corrono); vènghino (vengono); dòrmino (dormono), ecc. Per quanto riguarda le tre persone del singolare, sono di norma la seconda e la terza che, quando contengono un dittongo, si modificano (il dittongo scompare): “vèni” (vieni), vène (viene); téni (tiene), téne (tiene); pói (puoi); (può); vói (vuoi), vóle (vuole), ecc. Talvolta, si assiste anche ad una mutazione vocalica nella radice del verbo, come nel caso di "diventare" che si trasforma in "doventare": "quando i figlioli doventin grandi..." .
Non posso non accennare al passato remoto, in quanto assai curioso. I verbi appartenenti alla seconda e terza coniugazione (- ere, - ire), e che sono composti da più di due sillabe, come nascere, morire, apparire, si trasformano rispettivamente come segue (per semplificare, indico solo la terza persona singolare): nascétte; morìtte, apparitte (qui mi colpisce l'analogia con i dialetti campani!). Tuttavia, questo peculiare adattamento del passato remoto sta cadendo in disuso (non sentirete mai dire ad un giovane versilese "moritte" o "apparitte"!).

Ovviamente, la"versiliesizzazione" dei verbi, non riguarda solo il modo indicativo, bensì anche il congiuntivo: "mi pare vadi via" anziché "mi pare vada via", "credo siìno arivati" (siano arrivati), "speriamo venghi 'l sole" (venga) oppure "se facéssite, se andàssite, se fóssite" anziché " se faceste, se andaste, se foste".
Un'ultima curiosità:
I verbi contenenti il fonema “gl”, come “scegliere, sciogliere, cogliere”, alla terza persona plurale diventano: scèglino, sciòglino, còglino (nel versiliese più arcaico rispettivamente: scèlgino, sciòlgino, còlgino).

20090324

a proposito di verbi parte prima

La prima, banalissima, constatazione è che gli infiniti dei verbi vengono sistematicamente “troncati”.
S'ha a dì d'anda'?
(pronunciato "saddìddanda'? letteralmente "si ha a dire di andare?" = "Insomma, andiamo o no?")
Non si tratta certo di una prerogativa versiliese, in quanto è ciò che accade nella maggior parte dei dialetti centro-meridionali. E quindi: mangià, dormì, core (correre), e così via.
I riflessivi, come già accennato in precedenti post, perdono la “r” che viene sostituita da una “s” (si ha un fenomeno di assimilazione consonantica, in quanto la “r” si uniforma alla lettera che segue, una “s” appunto): alzassi, véstissi, lavassi, stancassi, ecc. Da notare che, per quanto riguarda i verbi appartenenti alla seconda coniugazione (quelli che terminano in ere) la “e” si trasforma in “i”: ricrédisi (ricredersi), illùdisi (illudersi), imbàttisi (imbattersi), ecc. Vengono accorciati anche i participi passati dei verbi appartenenti alla prima coniugazione (- are) e costituiti da più di due sillabe: bagno (bagnato), lascio (lasciato), tronco (troncato), lavo (lavato), ecc. Mentre i participi passati dei verbi appartenenti alla seconda e terza coniugazione, rimangono, di solito, invariati (dico "di solito", perchè proprio ora mi viene in mente "sentuto", che si usa in luogo del corretto "sentito", oppure "ditto" per "detto", "misso" per "messo"). Tra i participi passati dei verbi modali, troviamo “volsuto” al posto di "voluto" e "poduto" anziché "potuto". Per quanto riguarda la coniugazione dell’ausiliare “essere”, cambiano solo le tre persone del plurale. Quindi, nel caso dell'indicativo presente, abbiamo “sémo” (siamo); “sète” (siete); “ènno” (sono); nell’imperfetto, avremo “èrimo” (eravamo); èrite (eravate); èrino (erano). Nel congiuntivo imperfetto, troviamo "fussi, fusse, fùssimo, fùssite". La coniugazione dell’ausiliare “avere” all'indicativo presente rimane invariata rispetto all’italiano (a dire il vero, mi è capitato di sentire “abbiémo” al posto di “abbiamo”, come del resto anche per alcuni verbi non ausiliari, "andiémo via!", ma si tratta di una forma assai desueta). Nell’imperfetto, invece, troviamo : “avévimo” (avevamo); avévite (avevate); avévino (avevano). Talvolta, si fa un uso improprio dell'ausiliare avere, laddove lo si impiega al posto della cotruzione pronominale con il verbo essere. Per esempio: "hanno sposato in Chiesa" in luogo del corretto "si sono sposati in Chiesa".

20090307

a proposito di vocali


Poiché non esiste un testo serio ed organico che tratti il vernacolo versiliese, sto facendo alcune considerazioni per conto mio e, prima o poi, chissà, provvederò alla stesura dell’opera mancante!
Proprio ieri, riflettendo sulle vocali “e” ed “o”, ho riscontrato che, molto spesso, laddove in italiano le suddette vocali sono aperte, in versiliese subiscono un fenomeno di chiusura, e viceversa.
Alcuni esempi di conversione di “é” in “è” e di “ó” in “ò”:
Baléna: balèna
Perché: perchè
Stélla: stèlla
Créta: crèta
Óra: òra
Lóro: lòro
Alcuni esempi in cui si verifica il fenomeno opposto (la vocale aperta diventa chiusa):
Intrèpido: intrépido
Crèpa (sostantivo): crépa
Flèbile: flébile
Mèglio: méglio
Ho (verbo "avere"): hó
Sò (verbo "sapere"): só
Oggi: óggi
(talvolta, la tendenza a “chiudere” queste vocali è talmente esasperata che si arriva ad alcuni "eccessi", come "ditto" ="détto" e "cùpriti!" = "copriti!" )
Il dittongo “uo” si trasforma in “ó” (indipendentemente dal fatto che nel dittongo in questione la “o” sia aperta o chiusa), con l’eccezione di “òmo” (uomo) in cui la “o” rimane aperta. Faccio alcuni esempi:
uòvo: óvo
ruòta: róta
vuòto: vóto
buòno: bóno
nuòto: nóto
nuotare: nóta’
casseruola: cazzaróla
In alcuni casi il dittongo “uo” rimane invariato, come nei seguenti sostantivi: “cuore”, “suora”, “cuoco”, “tuono”, “suono” (i verbi “tuonare” e “suonare” diventano, però, rispettivamente “tóna’” e “sóna’’’).
Lo stesso fenomeno di chiusura vocalica si verifica nel dittongo “ie” (anche se, in questo caso, il dittongo viene quasi sempre mantenuto, tranne in alcune forme verbali come “téni!” al posto di “tieni!”):
Tièpido: tiépido
Piède: piéde
Biètola: biétola (anzi, in versiliese è “biéta”)
Liève: liéve
Fièno: fiéno
Pièno: piéno
Chièsa: chiésa
Anche qui, però, esiste qualche eccezione: ad es., la seconda persona singolare dell’imperativo del verbo “venire”, è “vèni!” (si mantiene la “e” aperta) e non “véni!”.
Certamente, per dare un senso a quanto scritto, dovrei scoprire il meccanismo in base al quale determinati fenomeni linguistici avvengono. Dovrei analizzare, caso per caso, il contesto fonetico e sillabico in cui le vocali si trasformano e pervenire, quindi, alle leggi che regolano tali mutazioni! (ehm...) Per ora mi sembra abbastanza intuitivo soltanto il fenomeno di "chiusura" vocalica nel dittongo: la vocale che si chiude, lo fa “uniformandosi” il più possibile alla vocale che la precede (la “o” che segue una “u” si chiude, così come succede alla“e” che segue una “i”).

20081211

vocali

In italiano mentre le lettere a, i, u rappresentano ciascuna un solo suono vocalico, le lettere e, o sono ambigue, indicando ognuna una vocale aperta (è, ò) e una vocale chiusa (é, ó).

Per notare graficamente l'apertura delle vocali medie, è possibile servirsi degli accenti grave e acuto:
È ed Ò per indicare le vocali medio-basse, cioè aperte (come in italiano bèllo e nòve);
É ed Ó per indicare le vocali anteriore e posteriore medio-alte, cioè chiuse (in italiano védo e sóno).

Come accade per l'italiano, anche nel dialetto veneto le vocali medie si contrappognono:

óro (orlo, bordo, lato)òro (metallo prezioso; "òro!" esclamazione tipica per: bene, benissimo, benone, molto bene!)
stéa (stella) stèla (grossa scheggia di legno) *

* La L intervocalica cade quando preceduta da E ed I. In ogni altro contesto essa è mutata in semiconsonante palatale media...

20081027

elle evanescente

l
[ j ], [ l, e ]
semiconsonante dorsopalatale rilassata

Si tratta di un suono tipico di alcune parlate venete, che sembra in espansione, chiamato di solito elle evanescente.
Si realizza in due posizioni:
- a inizio di parola, seguito da vocale non palatale (a, o, u): late (latte); longo (lungo); luna (luna)
- tra vocali non palatali: gola (gola); gondola (gondola); paròla (parola); svolàr[e] (volare)

Questo segno, che rappresenta un suono senza equivalente italiano (e tecnicamente definito da Giulio C. Lepschy "un'articolazione in cui l'aria passa attraverso un avvallamento nella parte centrale del dorso della lingua, sollevato verso la volta palatina, mentre i due lati del dorso della lingua sono a contatto con i lati della corona dei denti superiori"), è stato scelto per la sua relativa semplicità nei confronti di altri fin qui (1995 n.d.r.) adottati o proposti:
[ ł ] occupato nell'alfabeto polacco, con valore completamente diverso;
[ 'l ] col ricorso ad un segno grafico, l'apostrofo, che di solito denota un'elisione, che nel presente caso non c'è;
[ l ] già impiegato per un suono diverso;
[ j ] usato anche in alcune trascrizioni scientifiche (per esempio nell'atlante italo-svizzero nella forma y) per la somiglianza con la semiconsonante anteriore, alla quale si avvicina, ma con la quale non si identifica;
[ e ] semivocalico, che ha pure il pregio di essere molto vicino alla pronuncia reale, tanto da essere adottato, spesso nella forma semplificata e (scoea, "scuola"), in scritti divulgativi e correnti;
[ ' ] semplice apostrofo, che qui non indica caduta completa di un suono,
... senza contare la trascuratezza di segnalare in qualche modo questa l peculiare, restando fedeli alla diversa l laterale originaria e lasciando ai lettori il compito di realizzarla foneticamente secondo la singola varietà linguistica. Questa soluzione ha impedito di seguirne l'avanzata cronologica, tanto da indurre lo studioso G. Rohlfs a dichiarare che "poiché i testi di epoca antica non conoscono questo fenomeno (e nemmeno lo stesso Goldoni), deve trattarsi di cosa molto recente", contrariamente a quanto pensano altri ricercatori, che attribuiscono invece al fenomeno una certa antichità.

Di segno contrario è la posizione dell'Anonimo da Piove che distingue anche graficamente due specie di elle evanescente: una l di valore semiconsonantico e una ł molto più debole, semivocalica, che "scivola in un suono appena apprezzabile e che addirittura può sembrare soppresso": le due elle evanescente possono alternarsi anche nello stesso parlante a seconda della rapidità di pronuncia. In questa selva di pareri, sembra dover prevalere l'opportunità di non abbandonare, pur operando una distinzione grafica, il legame che lega la l alla l, da cui proviene, che è tuttora nettamente pronunciata nelle varietà periferiche della regione, e insistendo sul fatto che non va in nessun modo segnalata quando è completamente (o quasi) caduta nella pronuncia, perché assorbita da una o due contigue vocali palatali (e, i).

Si trascriverà quindi: agnèo, "agnello"; cae, "calle"; cassèa, "cassetta"; còtoe, "sottane" (ma còtola, "sottana"); fio, "filo"; spae, "spalle" (ma spala, "spalla").


upd
Il tag html per la elle evanescente è: <strike>L</strike>

 
minima template © bowman | indormia custom