Parlesia
Quando l'esibizione di attori e musicisti veniva considerata meretricio tanto da essere accolti come puttane, questi: gli artisti (di strada), erano una vera e propria famiglia che si autososteneva e che viveva elemosinado per le loro esibizioni di città in città.
Si creavano veri e propri clan, oggi diremmo compagnie, con tradizioni e trucchi scenici che conservavano gelosamente perchè unica fonte di sostentamento.
A testimonianza di quanto detto, a Napoli, i vari gruppi di musicisti per preservare il loro repertorio utilizzavano un vera e propria "lingua" in codice, un dialetto nel dialetto che viene tutt'oggi chiamata Parlèsia.
Per meglio comprendere riporto quando scritto da De Crescenzo nel libro "Tale e quale":
A Napoli esiste un gergo chiamato parlesia praticato dai teatranti e in particolare dai musicisti. È un modo per capire se si appartiene o no alla stessa famiglia. Nella parlesia lo stupido è definito 'o bacono', una bella donna 'a jammosa', le tette 'e tennose', quelle più abbondanti 'e to che toche', e l'apparato genitale maschile 'e richignense'.
Verbi fondamentali della parlesia sono l'appunire e lo spunire, usati rispettivamente per evidenziare gli aspetti positivi e negativi della vita. Esempi: 'Appunisci Totò?', «Ti piace Totò?»; Me s'è spunita 'a jola, «Mi è affondata la barca».
Scopo principale della parlesia è quello di non farsi capire dai non addetti ai lavori. Supponiamo, ad esempio, che due musicisti stiano parlando tra loro e che si avvicini una terza persona alla quale non vogliono far sapere nulla di quanto guadagnano. In questo caso il primo dirà al secondo 'chiste accamoffa', ovvero «questo ci ascolta», per poi aggiungere 'a pila è loffia', ovvero «la paga è bassa».
Tra i tanti modi di dire della parlesia quello che più mi ha colpito è lo specchio, dai più definito 'o tale e quale. Me lo comunicò un suonatore di mandolino prima di uno spettacolo di cabaret al teatro San Ferdinando. Io ero alquanto spettinato e lui, porgendomi un piccolo specchio, mi disse: "Tiè 'stu tale e quale c'a po' adoppo m'o tuorne", «Tieni questo specchio che poi me lo restituisci».
Se qualcuno vuole meglio comprendere vi consiglio di vedere la scena dell'interrogatorio in "no grazie, il caffè mi rende nervoso".
Si creavano veri e propri clan, oggi diremmo compagnie, con tradizioni e trucchi scenici che conservavano gelosamente perchè unica fonte di sostentamento.
A testimonianza di quanto detto, a Napoli, i vari gruppi di musicisti per preservare il loro repertorio utilizzavano un vera e propria "lingua" in codice, un dialetto nel dialetto che viene tutt'oggi chiamata Parlèsia.
Per meglio comprendere riporto quando scritto da De Crescenzo nel libro "Tale e quale":
A Napoli esiste un gergo chiamato parlesia praticato dai teatranti e in particolare dai musicisti. È un modo per capire se si appartiene o no alla stessa famiglia. Nella parlesia lo stupido è definito 'o bacono', una bella donna 'a jammosa', le tette 'e tennose', quelle più abbondanti 'e to che toche', e l'apparato genitale maschile 'e richignense'.
Verbi fondamentali della parlesia sono l'appunire e lo spunire, usati rispettivamente per evidenziare gli aspetti positivi e negativi della vita. Esempi: 'Appunisci Totò?', «Ti piace Totò?»; Me s'è spunita 'a jola, «Mi è affondata la barca».
Scopo principale della parlesia è quello di non farsi capire dai non addetti ai lavori. Supponiamo, ad esempio, che due musicisti stiano parlando tra loro e che si avvicini una terza persona alla quale non vogliono far sapere nulla di quanto guadagnano. In questo caso il primo dirà al secondo 'chiste accamoffa', ovvero «questo ci ascolta», per poi aggiungere 'a pila è loffia', ovvero «la paga è bassa».
Tra i tanti modi di dire della parlesia quello che più mi ha colpito è lo specchio, dai più definito 'o tale e quale. Me lo comunicò un suonatore di mandolino prima di uno spettacolo di cabaret al teatro San Ferdinando. Io ero alquanto spettinato e lui, porgendomi un piccolo specchio, mi disse: "Tiè 'stu tale e quale c'a po' adoppo m'o tuorne", «Tieni questo specchio che poi me lo restituisci».
Se qualcuno vuole meglio comprendere vi consiglio di vedere la scena dell'interrogatorio in "no grazie, il caffè mi rende nervoso".
6 comments:
Che bella sta cosa!
Grazie Fausto, poco ... ma bbbuono :-)
ciao
ti meriti "nu vase"...
Grandioso!
E poi nel video c'è modo di vedere la fantasia tutta napoletana.
Il cieco chiamato "dieci decimi" è una perla. :)
molto bello davvero (lasciate fare a fausto, che la sa lunga...)
'o jammo c'appunisce 'a parlesia nun fa 'o cardillo, haje capito bbacone?
jamm fardajuol nun t'è n'addunat
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