In su bucconi spratziu…
Ecco come prosegue il detto sardo: … s’angelu si dui sezziri.
Esistono anche delle varianti (peraltro poco rilevanti) del tipo: in su bucconi sparzìu, s’angelu s’inci sezziri (Adriano Vargiu, Guida ai detti sardi, Sugarco, Milano, 1981, p.55).
O anche: su bucconi spartìu, s’angelu s’inci sezziri (Patrizia Mureddu e fratelli, A mustazzu stampaxinu, femina biddanoesa, Scuola sarda editrice, Cagliari, p.27) ecc.
Comunque, il detto significa: l’angelo siede, prende posto nel boccone che si divide.
Sono parole molto belle, che indicano un proposito solidaristico, la volontà di non escludere l’altro.
Se immaginiamo la Sardegna quasi totalmente agro-pastorale e semideserta d’alcuni decenni fa, capiamo facilmente il valore di questo detto.
In quella Sardegna, infatti, di norma i centri abitati si trovavano a notevole distanza l’uno dall’altro: spesso si potevano percorrere decine di km senza incontrare anima viva.
L’alimentazione era poverissima, anzi diciamo pure misera perciò il fatto di dividere il proprio cibo con altri era encomiabile.
Inoltre, non si poteva essere del tutto sicuri dell’identità di chi si decideva d’aiutare. Soprattutto nel caso di un viaggiatore, di un forestiero ecc. poteva trattarsi di un bandito, di un latitante…
Tuttavia, il dovere dell’ospitalità non ammetteva eccezioni.
Del resto, l’ospite era accompagnato da un’aura di mistero e forse anche di sacralità.
Esistono molti racconti e leggende in cui i protagonisti sono Cristo e gli apostoli, che vagano per la Sardegna in cerca di cibo o di riparo per la notte…
Incidentalmente: penso che questo elemento narrativo-leggendario sia comune a molte regioni italiane.
In ogni caso, che il detto citato non venisse sempre applicato è provato dal fatto che alcune delle leggende in questione terminavano con alberi, luoghi o persone pietrificati, inceneriti ecc.!
In ogni caso, su bucconi spratzìu non poteva nascere che da una cultura fondamentalmente solidaristica.
Ho sentito per la prima volta questo detto da persone originarie di Sinnai, una cittadina a pochi km da Cagliari.
Esistono anche delle varianti (peraltro poco rilevanti) del tipo: in su bucconi sparzìu, s’angelu s’inci sezziri (Adriano Vargiu, Guida ai detti sardi, Sugarco, Milano, 1981, p.55).
O anche: su bucconi spartìu, s’angelu s’inci sezziri (Patrizia Mureddu e fratelli, A mustazzu stampaxinu, femina biddanoesa, Scuola sarda editrice, Cagliari, p.27) ecc.
Comunque, il detto significa: l’angelo siede, prende posto nel boccone che si divide.
Sono parole molto belle, che indicano un proposito solidaristico, la volontà di non escludere l’altro.
Se immaginiamo la Sardegna quasi totalmente agro-pastorale e semideserta d’alcuni decenni fa, capiamo facilmente il valore di questo detto.
In quella Sardegna, infatti, di norma i centri abitati si trovavano a notevole distanza l’uno dall’altro: spesso si potevano percorrere decine di km senza incontrare anima viva.
L’alimentazione era poverissima, anzi diciamo pure misera perciò il fatto di dividere il proprio cibo con altri era encomiabile.
Inoltre, non si poteva essere del tutto sicuri dell’identità di chi si decideva d’aiutare. Soprattutto nel caso di un viaggiatore, di un forestiero ecc. poteva trattarsi di un bandito, di un latitante…
Tuttavia, il dovere dell’ospitalità non ammetteva eccezioni.
Del resto, l’ospite era accompagnato da un’aura di mistero e forse anche di sacralità.
Esistono molti racconti e leggende in cui i protagonisti sono Cristo e gli apostoli, che vagano per la Sardegna in cerca di cibo o di riparo per la notte…
Incidentalmente: penso che questo elemento narrativo-leggendario sia comune a molte regioni italiane.
In ogni caso, che il detto citato non venisse sempre applicato è provato dal fatto che alcune delle leggende in questione terminavano con alberi, luoghi o persone pietrificati, inceneriti ecc.!
In ogni caso, su bucconi spratzìu non poteva nascere che da una cultura fondamentalmente solidaristica.
Ho sentito per la prima volta questo detto da persone originarie di Sinnai, una cittadina a pochi km da Cagliari.
Ho poi avuto il piacere di ritrovarlo in epigrafe alla Compagnia dei celestini del bolognese Stefano Benni.
In conclusione, sia bogai a son’e corru (già commentato nell’omonimo post) che in su bucconi esprimono una visione storico-sociale.
Il 1° è la storia di un’esclusione, anche violenta; come non pensare, ai giorni nostri ai cd “clandestini”?
Il 2° esprime una volontà di inclusione.
Io penso che se siamo esseri umani dobbiamo optare per la condivisione, per il dividere con l’altro. Ed allora, anche se l’angelo non prenderà posto tra noi, forse saremo gli angeli di noi stessi.
In conclusione, sia bogai a son’e corru (già commentato nell’omonimo post) che in su bucconi esprimono una visione storico-sociale.
Il 1° è la storia di un’esclusione, anche violenta; come non pensare, ai giorni nostri ai cd “clandestini”?
Il 2° esprime una volontà di inclusione.
Io penso che se siamo esseri umani dobbiamo optare per la condivisione, per il dividere con l’altro. Ed allora, anche se l’angelo non prenderà posto tra noi, forse saremo gli angeli di noi stessi.
4 comments:
il post mi piace assai! e complimenti per la "presentazione", spero sia andato tutto per il meglio.
Ti ringrazio, Fausto!
Sì, la presentazione è andata davvero bene (e non solo per merito mio): anche perchè si è creato un "paciugo" di musica e letteratura per Cagliari piuttosto inedito.
Passerò presto sul tuo blog o sito.
Ciao.
un pezzo davvero molto bello
Grazie anche a te, Em!
P.s.: hai anche un blog tutto tuo, individuale?
Magari sì ed io, con la mia proverbiale goffaggine, non me ne sono accorto...
Ciao.
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