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«Cota: più lingua piemontese nelle scuole»
Questo il grande titolo sovraimpresso su una veduta di Torino, con la Mole in primo piano, apparso oggi, 23 marzo, sulla prima pagina del quotidiano "La Padania", organo ufficiale della Lega.
Credo che nessuno pretenda dal candidato della destra alla Regione Piemonte, Roberto Cota, una pur minima conoscenza della linguistica, ma almeno una informazione sui numerosi dialetti parlati nella regione i suoi spin doctor avrebbero dovuto fornirgliela. Il ragazzo "dalla faccia pulita" alla ricerca disperata di voti negli ultimi giorni della campagna elettorale dopo aver sollecitato i più bassi istinti razzisti in compagnia del prode Mario Borghezio, gioca la carta del campanilismo più ignorante.
Qualche tempo fa su istigazione del suo collega Luca Zaia (candidato nel Veneto) Cota aveva presentato una singolare proposta di legge per imporre agli insegnanti, vincitori di cattedre in regioni diverse dalla loro provenienza, la conoscenza del dialetto locale, spacciato come seconda lingua.
Oggi, il novello Alighieri della Padania, ci fa sapere che se (malauguratamente diciamo noi), dovesse vincere le elezioni, imporrebbe nelle scuole della regione la "lingua" piemontese.
Peccato che tale lingua non esista. Infatti in Piemonte esistono tanti dialetti, molto diversi l'uno dall'altro, non assimilabili in un solo idioma.
Il giovanotto, nato in provincia di Novara, ignora ad esempio che il dialetto in uso nel capoluogo piemontese è diverso da quello che si pratica a 19 chilometri di distanza.
A Lombardore Canavese la parola acqua, usata a Torino, diventa "eva". Sempre restando nella provincia di Torino nella parte collinare è ancora in uso un dialetto diverso da quello parlato, ad esempio, nelle Valli di Lanzo o nel pinerolese.
Ancora più accentuate sono le diversità esistenti tra le varie province della regione.
Altro esempio: a Torino la parola bambino in dialetto diventa "cit". In provincia di Alessandria si dice invece "fantoc", con la lettera "c" dolce.
Avere la pretesa di governare il Piemonte senza sapere che in questa regione i dialetti censiti sono più di quaranta, uno diverso dall'altro, non è preoccupante, ma un po' ridicolo.
E non vale per inventare una lingua piemontese citare l'esempio della Sardegna. Nell'isola è stata scelta come base della lingua sarda il modo di parlare nel nuorese, considerato la matrice, per estenderlo in tutta la regione, anche se esistono tutt'ora differenze tra il cagliaritano, il sassarese e le altre province.
Suggeriamo a Cota che propugna la inesistente lingua piemontese di assumere come matrice il monferrino e più precisamente il paese di Callianetto, dove si dice (ma non è certo) che sarebbe nato Gianduja.
L'evoluzione della destra italiana è stata in pochi anni molto significativa. Si è passati dalle tre "I" (Internet, Impresa, Inglese) indicate da Berlusconi, alle tre "P" di Cota: Piemontese, Padania, Pirla.
Diego Novelli, 23 marzo 2010
Crespigno (Sonchus oleraceus)
In cucina, se teneri, si usano crudi come insalata, e cotti se più sviluppati.
Curiosità: proprietà depurativa della cistifellea.
Detto marchigiano: “Le crespigne de gennà non è bona per villà”
In questi giorni di fine inverno, nei prati intorno casa, oltre alle pratoline, all'acetosella (zuchì) e alle violette, un sacco di altre erbe spontanee, una, "l'erba crespigna", usata in una ricetta della suocera... "le fujie" che, marito e figlio a grande richiesta hanno mangiato l'altro giorno!
Si raccolgono le "crespigne", si mondano le foglie senza i gambi più duri, eliminando anche fiori e boccioli, eventuali. Si lavano e si fanno bollire con un po' di bietole e con patate tagliate a pezzi piccoli... si "cacciano" col "cacciamaccheroni" e si condiscono con olio e sale, mischiando delicatamente, perchè non devono venire "impappate", ma devono risultare delicatemte unite.
I tempi non sono indicati, perchè sto procendendo a naso... non avendo la Suocera, alla sua epoca, codificato questa semplice ricetta. La cognata, sua figlia, dice che lei prova e decide.
Maldobrìe (sost. pl.): scherzi, marachelle. Voce dall'etimo incerto che gli autori dell'opera letteraria così intitolata fanno risalire al croato malo dobro = poco bene, mica bene, così così oppure dal latino malus opus = cattiva azione. Come detto, il termine ha assunto particolare notorietà grazie alle opere di Carpinteri e Faraguna, scritte in una particolare koiné istro-veneta. Godibilissime anche le trasposizioni sceniche, grazie soprattutto alle magistrali interpretazioni del compianto Lino Savorani, di Gianfranco Saletta e di Ariella Reggio.