20090313

Volgar'Eloquio - Il dialetto, le radici, la differenza

Dalla vostra corrispondente da Milano (meglio tardi che mai).

E' cominciata così, con la sfilata per le vie del centro della Mid South Highland Pipes and Drums Band e al suono di tamburi e cornamuse, la rassegna Volgar'Eloquio, che per alcuni giorni ha trasformato Milano in un laboratorio di divulgazione e riflessione sulle tradizioni dialettali della nostra penisola.

22 gli eventi in programma, tutti presi d'assalto dal pubblico.
Nei teatri ad aprire la festa dedicata al sorprendente mondo dei dialetti è stato il viaggio de I Milanes' attraverso quattro secoli di vita milanese, dalla peste alla guerra, dalla politica al sesso, raccontati da grandi scrittori in lingua e in dialetto come Carlo Porta, Alessandro Manzoni, Emilio De Marchi, Delio Tessa, Giuseppe Parini e Vespasiano Bignami. Poi è toccato alla lezione di Ferruccio Soleri, lo storico intreprete milanese del goldoniano Arlecchino servitore di due padroni, lo spettacolo di prosa più rappresentato al mondo.
Ancora, in un travolgente susseguirsi di appuntamenti, è stata la volta del racconto Bibbiù, in dialetto bresciano, portato in scena dal suo autore Achille Platto, che ha voluto calare in un contesto contadino da "scarpe grosse e cervello fino" i principali passi del Vecchio e del Nuovo Testamento, imprimendo loro un irresistibile taglio grottesco e dissacrante.
Seguitissimo anche il convegno intitolato Cosa ce ne facciamo del dialetto? al Teatro Dal Verme, un momento di formazione in cui studiosi, giornalisti ed organizzatori culturali si sono confrontati sul ruolo e sul valore delle lingue dialettali nella società contemporanea, affrontando temi come la resistenza all'omologazione e il futuro della varietà linguistica, italiana e non.
Naturalmente non sono mancati nemmeno appuntamenti più leggeri, pensati per i bambini, come i giochi ispirati all'universo divertente della Commedia dell'Arte, fatto di travestimenti, acrobazie, equivoci e personaggi bizzarri, al Circolo Filologico Milanese.

Gli incontri, compresi quelli apparentemente più noiosi come le lezioni di storia della lingua che sono state tenute in alcune università milanesi, hanno registrato il tutto esaurito, lasciando piacevolmente spiazzati persino i loro stessi organizzatori, che in alcuni casi hanno faticato non poco a gestire gli spazi e a contenere i tempi degli spettacoli.


Un entusiasmo insperato hanno dimostrato, ad esempio, i partecipanti alla full-immersion nella lirica dialettale contemporanea che si è svolta sabato 7 marzo nella saletta "Scatola Magica" del Piccolo Teatro Strehler.
Nel corso della singolare maratona si sono alternati autori di diversa provenienza:

- Franca Grisoni, da Sirmione, che ha letto con alcune delicatissime poesie d'amore tratte dalla sua raccolta La Giardiniera;
- Achille Serrao, napoletano, con alcune poesie ispirate dall'osservazione dei passanti e degli angoli delle strade della sua città natale;
- Remigio Bertolini, piemontese, che ha recitato una commovente poesia ambienteta nei primi anni Cinquanta, su un gruppo di piccoli orfani maltrattati e sfruttati dalle famiglie adottive per il lavoro agricolo e sulle montagne;
- Nelvia Di Monte, che ha dedicato il suo intervento alla lettura di alcune lettere in stretto dialetto friulano scritte nell'immediato primo dopoguerra dagli emigrati in Argentina, avviando poi un discorso sulla dolorosa questione dell'identità, delle radici e della nostalgia;
- Edoardo Zuccato, da Milano, che parlando del Po ha trattato del rapporto tra uomo, fiume e natura attraverso le atmosfere e le immagini della tradizione letteraria irlandese, intrisa di magia e suggestione e solita rappresentare la vita come un groviglio di elementi naturali;
- Franco Loi, nato a Genova da una famiglia sarda ma affezionato al dialetto meneghino, che ha presentato alcune delle sue più limpide e sincere poesie su Dio;
e, in videoconferenza rispettivamente da Santarcangelo di Romagna e da Pieve di Soligo, due pilastri della letteratura dialettale italiana quali Tonino Guerra, che ha parlato del suo lavoro di sceneggiatore con Federico Fellini, e Andrea Zanzotto, intervenuto con una bella riflessione sul dialetto come "il sorriso dei vecchi d'altri tempi".

Tutti gli autori, per la lettura in traduzione delle poesie, hanno potuto contare sull'aiuto di due giovani attori della scuola di recitazione del Piccolo, a dir poco meravigliosi (e non solo artisticamente, credetemi).

Marco Paolini sul palco del Teatro Dal Verme
(Foto da Flickr).

Grandissima partecipazione (molto oltre le aspettative, con tanto di un principio di rissa all'ingresso della sala per accaparrarsi i posti migliori) ha ottenuto anche il recital del bravissimo Marco Paolini al Teatro Dal Verme, domenica sera.
Complici l'intensità della sua recitazione, la potenza della sua mimica e la musicalità dolce e un po' malinconica del dialetto veneto, nonchè la bellezza espressiva di alcuni degli esiti più alti della poesia dialettale del secondo Novecento, con lui si è raggiunto il momento più emozionante dell'intera manifestazione. Attraverso la sua voce hanno preso la parola maestri come Andrea Zanzotto, Ernesto Calzavara, Giacomo Noventa, Biagio Marin e Luigi Meneghello, in una rievocazione triste e arrabbiata dei cambiamenti troppo veloci e delle ferite mai rimarginate che la mano dell'uomo "industriale" nel corso dell'ultimo secolo ha inflitto all'aspetto della terra veneta e, di conseguenza, al cuore dei suoi abitanti.
Un pezzo applauditissimo, di forte partecipazione emotiva (all'uscita ho visto volti rigati dalle lacrime), e segnato da un uso della corporeità molto affascinante, forse perché, proprio come il dialetto, essa si fa strumento di espressione istintiva di bisogni immediati. Davvero coinvolgente.


Lunedì 9 marzo, il giorno di chiusura della manifestazione, è stata quindi la volta di Antonella Ruggiero, che ha tenuto un concerto (chiuso al pubblico) per le detenute dell'Istituto Casa Circondariale di San Vittore, in occasione della festa della donna.
La prestigiosa voce della musica italiana ha voluto cantare storie di una Milano antica, che conosceva valori e speranze diversi da quelli di oggi, così omologati a modelli globali. "Racconti -ha detto la cantante al quotidiano la Repubblica- di ordinaria quotidianità, di uomini e donne che vivevano ai margini, in quartieri di periferia che esistono ancora, ma che oggi sono diventati grandi supermercati dove la solidarietà non si trova più. Posti dove adesso vivono persone che vengono da lontano, dalle aree del mondo da dove si fugge per cercare fortuna. Anche se spesso non la si trova, e si finisce in carcere". Molte delle donne per cui ha cantato in effetti sono straniere, ma lei ha dichiarato di non essere stata troppo preoccupata dai probabili problemi di comprensione del dialetto: "La mia esperienza mi ha sempre confermato che la musica arriva comunque, che va oltre le parole" ha spiegato, e si è augurata di essere stata capace, per il tempo di un concerto, di far tornare le sue spettatrici "con al mente e con il cuore nei loro luoghi, fra le persone che amano".
Spero anch'io ci sia riuscita. Conoscendo le potenzialità della sua voce, non sembra cosa affatto improbabile.


Davide Van De Sfroos,
attualmente in giro per l'Italia con il suo Pica! Tour Teatrale
(foto da Flickr).

La giornata è poi proseguita all'Università Cattolica di Milano, con una singolare lezione-spettacolo con performaces sul tema del dialetto in musica tenuta dal cantautore in dialetto comasco Davide Van De Sfroos e da alti insegnanti d'eccezione come Patrizia Laquidara (siciliana interprete di musica popolare veneta e lombarda), il gruppo milanese Teka P e alcuni esponenti del movimento Taranta Power di Eugenio Bennato.

La manifestazione si è infine chiusa con una pioggia di note e meritatissimi applausi, all'atteso concerto di Davide van De Sfroos, Patrizia Laquidara con Hotel Rif, Taranta Power e Teka P al Teatro Dal Verme, dove si è potuto assistere al felice incontro fra le tradizioni antiche delle lingue dialettali e le sonorità e i ritmi moderni del rock e del pop.


L'idea di questo festival è venuta all'Assessore alle Culture, alle Identità e alle Autonomie della Regione Lombardia Massimo Zanello, ed è stata realizzata in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano e con la consulenza del professor Franco Brevini, studioso di letteratura italiana all'Università di Bergamo e grande esperto di dialetti.
L'iniziativa si inserisce in un progetto più ampio di tutela e sostegno della "cultura immateriale" che si rifà alla parola, previsto e finanziato da una recente legge della Regione Lombardia.

E' stata senza dubbio una scelta coraggiosa, quella di investire in un settore di nicchia come quello della divulgazione della letteratura dialettale, in questi tempi di difficoltà economiche e di tagli indiscriminati alla cultura e allo spettacolo non televisivo. Altro aspetto lodevole dell'iniziativa, il sentimento che l'ha animata, che è sembrato essere, per una volta, l'autentico amore per la conoscenza e la storia del nostro paese, e non l'interesse economico (tutti gli spettacoli erano a ingresso libero, ad eccezione del concerto di Van De Sfroos, al più che accessibile prezzo di cinque euro).
Lo scopo che i curatori del festival si augurano di aver raggiunto è quello di aver avviato un serio percorso di salvaguardia e valorizzazione delle tradizioni locali, che possa slegare il concetto di identità dalle volontà di protezionismo estremo, di chiusura e di intolleranza per trasformarlo al contrario in un'àncora di sicurezza, di contatto e di ritrovo per i momenti di sbandamento nei valori che possono mettere a repentaglio la sopravvivenza delle piccole comunità.
Altro obiettivo che Volgar'Eloquio spera di onorare, se sarà riproposto in futuro, è coinvolgere e appassionare alla conoscenza delle parlate popolari i giovani, che magari masticano benissimo l'inglese, ma che sempre più spesso non capiscono la parlata degli anziani, non sanno l'origine delle parole più rappresentative del loro dialetto, si dimenticano i modi di dire dei loro paesi e, con essi, il mondo dei loro nonni, la loro origine e la memoria della loro terra.


Vi lascio con uno spunto di riflessione.
Secondo i dati dell'Unesco ogni due settimane nel mondo scompare una lingua, e solo in Italia sono 31 i dialetti a forte rischio di estinzione. Se ci si ferma un attimo a ragionare su queste cifre e a immaginare cosa significa la perdita di un idioma, forse ci si può rendere conto dell'urgenza con cui sarebbe bene riscoprire e proteggere i nostri preziosi "volgar'eloqui". Perchè quando muore una lingua non spariscono solo l'alfabeto e i suoni che la compongono, ma si perde traccia della cultura che attraverso di essa è stata costruita, si rinuncia al ricordo del popolo che la parlava, si elimina la varietà e la ricchezza di pensiero di cui ogni sua più lieve inflessione è stata testimone. Si getta via nel tempo, pezzetto dopo pezzetto, la nostra storia.

A me piace pensare che con Dialetticon, nel nostro piccolo, qualcosa per scongiurare questa eventualità la stiamo facendo anche noi.


Ross

5 commenti:

  1. Bè Ross, complimenti davvero!
    Un bellissimo pezzo, esauriente e chiaro.
    La tua riflessione finale mi trova profondamente d'accordo, conservare il nostro dialetto vuol dire ricordare le nostre radici.
    Noi, piccoli dialetticanti, ci proviamo!

    Grazie Ross!

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  2. Domenica pomeriggio gli Scozzesi erano ancora operativi nel centro di Milano. Li ho incrociati un paio di volte. Hanno pure fatto arrabbiare uno pseudo-cantore-napoletano che si stava cimentando con una sua versione de "O surdato 'nnammurato" :-)

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  3. ma i bigliettini pubblicitari li hai distribuiti? (davvero un bel pezzo ross!)

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  4. complimenti alla reporter, ora aspetto che i bigliettini pubblicitari portino risultati...eh eh eh

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  5. @em: ne ho lasciati dieci o dodici sulle poltroncine del Dal Verme e dello Strehler, affidandoli alla sorte (o forse più al buon cuore delle maschere addette alle sale, nella speranza che non li abbiano cestinati subito).
    Li ho stampati in fronte e retro, con da un lato l'header colorato di Dialetticon e dall'altro l'url, nel formato di un biglietto da visita.

    Comunque, a proposito di strategie pubblicitarie per la diffusione del dialetti-verbo, mi sta frullando in testa un'ideuzza tentatrice... ci penso meglio, mi assicuro di poter continuare a scroccare impunemente fotocopie all'ufficio di mia madre e poi magari ve ne parlo. :)

    Grazie a tutti dei complimenti. Sono lusingata.

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