tag:blogger.com,1999:blog-48481266060477889432024-03-13T22:28:14.460+01:00dialetticonpensare globale | parlare localeemhttp://www.blogger.com/profile/13206780076451250699noreply@blogger.comBlogger3125tag:blogger.com,1999:blog-4848126606047788943.post-71092546824992643242009-11-01T11:46:00.003+01:002017-01-27T13:43:26.671+01:00In dommu de su ferreri, schironi ‘e linna<div align="justify">Questo detto significa: a casa del fabbro, spiedo(i) di legno.<br />Come capita spesso nel mondo dei detti, dei proverbi ed in genere in quello del linguaggio colloquiale sardo, per veicolare uno o più significati di varia natura si ricorre ad una figura appartenente al mondo del lavoro.<br />Non di rado, le figure adottate provengono dal mondo artigiano, agropastorale ed operaio.<br />In questo caso, <em>su ferreri</em> cioè il fabbro è utilizzato come persona di cui non si mettono a priori in dubbio le capacità o le doti professionali, l’esperienza, la forza fisica ecc.<br />Del fabbro si discute invece il senso pratico o meglio, domestico; l’attitudine o <em>sa gana</em>, la voglia, la volontà di rendersi utile in famiglia.<br />In effetti, un fabbro che non sappia o non voglia forgiare degli spiedi metallici per sé o per i suoi, può suscitare<em> s’arrisu, il riso</em> ed essere <em>canzonau, </em>schernito.<br />Come capita spesso nelle culture popolari, assistiamo qui ad un rovesciamento di valori e di prospettiva (quel che di solito capita in occasione del Carnevale).<br />L’esperto artigiano è così abbassato al rango di allocco o come si dice nel sardo parlato a Cagliari e nel suo circondario, di <em>balossu</em>.<br />Allargando (di molto) il discorso, mi pare che nel folklore yiddish e nella stessa cultura ebraico-orientale vada per così dire in scena il tipo del dotto talmudista.<br />Il dotto in questione vien talvolta rappresentato come il classico <em>Luftmensch </em>(uomo delle nuvole, sognatore) che nelle questioni pratiche deve essere tratto d’impaccio dalla moglie (ah, le donne!).<br />Il filosofo danese Kierkegaard raccontava del tipico filologo (olandese, credo) che riceveva un aiuto simile dalla consorte…<br />Su questo tema sarebbe comunque interessante un confronto anche con altre/i del blog.<br />Domanda, quindi: nella vostra regione avete un equivalente del fabbro che a casa sua utilizza degli spiedi di legno? Voglio dire, un detto che possa essere avvicinato a questo? (il che è piuttosto probabile).<br />Comunque, per me il detto <em>in dommu de su ferreri, schironi de linna</em> può essere inteso in senso lato come uno sberleffo ai cosiddetti<em> esperti</em>…</div>Unknownnoreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4848126606047788943.post-60514261033784855242009-09-28T20:38:00.004+02:002017-01-27T13:43:13.609+01:00In su bucconi spratziu…<div align="justify">Ecco come prosegue il detto sardo: … <em>s’angelu si dui sezziri</em>.<br />Esistono anche delle varianti (peraltro poco rilevanti) del tipo: in su bucconi <em>sparzìu</em>, s’angelu <em>s’inci</em> sezziri (Adriano Vargiu, <em>Guida ai detti sardi, Sugarco, Milano, 1981, p.55</em>).<br />O anche: su bucconi <em>spartìu</em>, s’angelu s’inci sezziri (Patrizia Mureddu e fratelli, <em>A mustazzu</em> <em>stampaxinu, femina biddanoesa, Scuola sarda editrice, Cagliari, p.27</em>) ecc.<br />Comunque, il detto significa: l’angelo siede, prende posto nel boccone che si divide.<br />Sono parole molto belle, che indicano un proposito solidaristico, la volontà di non escludere l’altro.<br />Se immaginiamo la Sardegna quasi totalmente agro-pastorale e semideserta d’alcuni decenni fa, capiamo facilmente il valore di questo detto.<br />In quella Sardegna, infatti, di norma i centri abitati si trovavano a notevole distanza l’uno dall’altro: spesso si potevano percorrere decine di km senza incontrare anima viva.<br />L’alimentazione era poverissima, anzi diciamo pure<em> misera</em> perciò il fatto di dividere il proprio cibo con altri era encomiabile.<br />Inoltre, non si poteva essere del tutto sicuri dell’<em>identità</em> di chi si decideva d’aiutare. Soprattutto nel caso di un viaggiatore, di un forestiero ecc. poteva trattarsi di un bandito, di un latitante…<br />Tuttavia, il dovere dell’ospitalità non ammetteva eccezioni.<br />Del resto, l’ospite era accompagnato da un’aura di mistero e forse anche di sacralità.<br />Esistono molti racconti e leggende in cui i protagonisti sono Cristo e gli apostoli, che vagano per la Sardegna in cerca di cibo o di riparo per la notte…<br />Incidentalmente: penso che questo elemento narrativo-leggendario sia comune a molte regioni italiane.<br />In ogni caso, che il detto citato non venisse sempre applicato è provato dal fatto che alcune delle leggende in questione terminavano con alberi, luoghi o persone pietrificati, inceneriti ecc.!<br />In ogni caso, <em>su bucconi spratzìu</em> non poteva nascere che da una cultura fondamentalmente solidaristica.<br />Ho sentito per la prima volta questo detto da persone originarie di Sinnai, una cittadina a pochi km da Cagliari.</div><div align="justify">Ho poi avuto il piacere di ritrovarlo in epigrafe alla <em>Compagnia dei celestini</em> del bolognese Stefano Benni.<br />In conclusione, sia <em>bogai a son’e corru</em> (già commentato nell’omonimo post) che <em>in su bucconi</em> esprimono una visione storico-sociale.<br />Il 1° è la storia di un’<em>esclusione</em>, anche violenta; come non pensare, ai giorni nostri ai cd “clandestini”?<br />Il 2° esprime una volontà di <em>inclusione</em>.<br />Io penso che se siamo esseri umani dobbiamo optare per la condivisione, per il dividere<em> con</em> l’altro. Ed allora, anche se l’angelo non prenderà posto tra noi, forse saremo gli angeli <em>di noi</em> <em>stessi</em>. </div>Unknownnoreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-4848126606047788943.post-59212228732287042042009-09-16T16:54:00.003+02:002017-01-27T13:43:13.602+01:00“A son ‘e corru”<div align="justify">L’espressione <em>a son ‘e corru</em> (così pronunciata ma che troverei più corretto scrivere <em>a su sonu de</em> <em>su corru</em>) è tipicamente cagliaritana. Da Cagliari essa si sarà diffusa anche in altre zone della Sardegna del sud. Significa "al suono del corno".<br />A qualcuno quell’espressione evocherà atmosfere e suggestioni medievaleggianti… le imprese dei paladini di Francia, cacce nella foresta, sante e faticose ricerche del Santo Graal…<br />Altri penseranno a piccanti gesta adulterine; non si sa poi perché se la nostra società gareggia, fino ai suoi vertici, nell’esercizio di una continenza poco meno che monacale.<br />Ora, il riferimento giusto è quello medievale. Infatti, durante i 4 secoli di dominio spagnolo su <em>cussus poberus sardus</em> (quei poveri sardi) <em>fiada sa lei</em> (era legge) che la parte alta della città fosse soggetta a coprifuoco.<br />Quella parte costituiva il centro politico-amministrativo e militare di Cagliari e per gli spagnoli, i cagliaritani non vi si dovevano trattenere oltre le 20.<br />Così, quando <em>cussus dimonius sonanta su corru</em> (quei diavoli suonavano il corno) <em>is casteddaius</em> (i cagliaritani) dovevano telare.<br />Chi non rispettava tale <em>lei leggia</em> (brutta legge) veniva scaraventato dagli spagnoli giù dalle mura… sulle rocce sottostanti.<br />Magari un contadino, un artigiano, un commerciante ecc. aveva dei problemi con ruote o assi del proprio carro, con un asino o un cavallo recalcitrante.<br />Una trattativa d’affari poteva andare per le lunghe o forse qualche spagnolo<em> alluttu</em> (acceso, in senso sessuale) gli aveva molestato la moglie o la figlia; era quindi sorta una questione da dirimersi <em>a curteddu</em> (col coltello).<br />Ma <em>po</em> <em>is meris de is sardus</em> (per i padroni dei sardi) niente di tutto questo poteva evitare il volo dalle mura.<br />Col tempo, i cagliaritani hanno dimenticato l’origine ed il senso reali de <em>ci </em>(o <em>ddu</em>) <em>anti bogau a son</em> <em>‘e corru</em> (l’hanno cacciato al suono del corno). E’ diventata un’espressione a sfondo umoristico, sinonimo di cacciata clamorosa, senza possibilità d’appello.<br />E’ stata così dimenticata l'orribile fine di tantissimi sardi.<br />Pare inoltre che dopo aver sfracellato la vittima di turno, si pronunciasse la formula <em>stampax</em>, stai in pace. Forse “stampax”, evidente corruzione del latino <em>stas in pax</em> (o simili) ha dato il nome al quartiere limitrofo di Stampace… in sardo <em>Stampaxi</em>.</div>Unknownnoreply@blogger.com2