20101126

Sinsigà

Sinsigà: provocare, stuzzicare

20101125

mói


Mói = Bagnato

"Tûm dal mói e méttm int l'acua" = Toglimi dal bagnato e mettimi nell'acqua
(ovvero: di male in peggio)

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similia tag | mézzo

20101122

vaiassa

vaiassa, vajassa (s.f.) | "serva" o "domestica"

Usato anche come sinonimo di donna di bassa condizione civile, sguaiata e volgare, "sbraitante e rissaiola".

20101121

pasolini, pier paolo

Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà.
(Dialetto e poesia popolare, 1951)

20101119

raca

Raca = imperfezione del tessuto

sta stofa ga na raca = questa stoffa ha un difetto

20101115

muci


muci!
(imperativo di probabile derivazione onomatopeica)
=
zitto!, silenzio!

20101114

sabòt

Sabòt | Balbuziente

20101113

sabo


sabo | sabato

20101112

schisceta

schiscéta | s.f. gavetta, contenitore (di stagno) per portarsi sul luogo di lavoro il cibo già cotto a casa

Il termine deriverebbe da schiscio, come in "sta' schisc": stai zitto, non alzare la cresta... forse perchè il cibo era ben compattato nel recipiente. Per le stesse ragioni potrebbe anche derivare dal verbo schiscia' (schiacciare).

Nell'immaginario comune la schisceta rappresenta il pasto dei lavoratori meno abbienti, che non si potevano permettere il ristorante (prima dell'avvento delle mense aziendali).

20101111

minèstro


minèstro (s.m.) | mestolo
[dal lat. ministrare, servire]

20101105

sàntolo


sàntolo (s.m.) | 1. padrino; 2. conoscenza altolocata

20101102

El chisöl per i pòri morti

Domandate ai vecchi di Brenzone che cosa sia il chisöl. Vi risponderanno che era una questua. La facevano da ragazzini, in novembre, andando a elemosinar castagne di casa in casa.
Provate a far la stessa domanda a qualche anziano di Cassone, in terra malcesinese, poco più a nord. Vi dirà che il chisöl era un pane piccolo d'una volta e che ora non s'usa più.
Andate a chieder notizie nel Mantovano. Là il chisöl - o la chisöla, al femminile - è una schiacciata, resa ricca coi ciccioli di maiale, oppure con la cipolla o con l'uva passa.
Spostatevi nel Bresciano. Vi faranno assaggiare il loro chisöl, che è una focaccia dolce, zuccherata. Qualcuno vi racconterà anche un proverbio: "Per sant'Antóne chisöler, chi no fa la turta ghè burla zó 'l solér". Si riferisce a una ritualità legata alla festa di sant'Antonio abate, il 17 di gennaio. Dice Attilio Mazza: "Era tradizione nella Bassa bresciana che, per il giorno di sant'Antonio, le massaie preparassero èl chisöl, una focaccia. L'antica consuetudine assunse significato propiziatorio affinché non crollasse il solaio carico di neve". Ma forse non è proprio così. Almeno non del tutto. E tra il chisöl brensonàl, quello casonér, quello mantovano e quello bresciano potrebbe esserci un legame molto stretto, anche se a prima vista non parrebbe.
Forse la vera spiegazione del rito del chisöl la si può trovare, quasi incredibilmente, proprio a Brenzone. Qui - s'è visto - il chisöl non era qualcosa da mangiare, bensì una curiosa usanza novembrina. Ne ha parlato "El Gremal" nel '95. Lo spunto veniva da una breve composizione di una (allora) allieva di seconda elementare, Marta Sartori, che, dovendo indagare sulle tradizioni dei nonni, ha scritto così: "Nei giorni dei morti, quando i nonni erano bambini, nei nostri paesi c'era questa usanza: i bambini più poveri andavano, con un sacchetto, dalle famiglie che possedevano tanti castagni a chiedere 'el chissöl per i pori morti', cioè un po' di castagne". La notizia raccolta dall'alunna venne sottoposta al vaglio dei compagni, che a loro volta intervistarono i familiari. Se ne ricavò che "quasi tutti i nonni conoscono questa usanza". Pochi invece i genitori che avessero fatto la questua: la tradizione si stava perdendo.
Cosa c'entra la questua brenzonese con le focacce di Cassone e dei lombardi? C'entra. Ma ci arriviamo un po' per volta, aggiungendo un nuovo indizio.
L'ulteriore tassello m'è stato fornito dall'ex sindaco di Brenzone, Dennis Palminio, che ha sentito a proposito del chisöl qualche anziano del luogo. Ricevendo notizia che la questua non era riferita sempre e solo alle castagne, ma anche ad altri frutti e altre vivande. Sempre e comunque la si domandava "per i poveri morti". C'era dunque un qualche nesso fra il chisöl di Brenzone e il ricordo dei defunti.
Durante la questua si chiedevano in dono in particolare le castagne. E anche questo non è un caso. Le castagne erano cibo rituale e simbolico: il loro frutto esce dalla scorza così come il corpo resuscita dal sepolcro. A Bardolino il giorno dei morti nelle famiglie di campagna ci si dividevano i compiti: i più andavano alle funzioni sul cimitero, ma qualcuno restava a casa a cuocere le castagne, che fossero pronte al ritorno. Guai a farle mancare. Erano il pane dei morti. A San Zeno di Montagna il prezzo dei marroni restava alto sino a fine ottobre, per poi calare di colpo. Come può una data fare da limite alla fissazione del prezzo d'un prodotto alimentare, se quella scadenza non carica di significato l'alimento? Pensate al pandoro: dopo Natale è ottimo comunque, ma in bottega non se ne vende più neanche una scatola, se non riducendo brutalmente il prezzo. Così era per i marroni il giorno dei morti: passata la ricorrenza, crollava il prezzo.
Il chisöl era dunque il rito con cui i ragazzini di Brenzone andavano di casa in casa a domandare il pane dei morti. Così come altrove il chisöl era pane davvero. Pane rituale, da portare in tavola per le ricorrenze dei defunti. Era pane vero e proprio quello di Cassone. È pane arricchito di carne o verdure quello mantovano. È pane addolcito quello bresciano.
Si dirà: ma il proverbio di Brescia smentisce questa tesi. Il chisöl lo si preparava per la festa di sant'Antonio Abate. Che c'entra lui coi riti dei defunti? C'entra.
Molte festività cristiane hanno sostituito, sovrapponendovisi, antichi riti pagani. Il Natale in primis. Pensateci: nei Vangeli non si trova traccia della data di nascita di Cristo. Ed è comunque improbabile - dicono gli storici - che si trattasse della fine di dicembre. Ma a Roma l'imperatore Aureliano aveva fissato al 25 dicembre la festa del Sole invitto, celebrato con le corse dei carri, raffigurazione del carro solare. I primi cristiani hanno dunque sovrapposto al sole dei pagani quello della luce di Cristo: "Tu sole vivo per me sei Signore, vita e calore diffondi nel cuor" si canta ancora oggi nelle chiese.
Anche la festività di sant'Antonio abate è una sovrapposizione d'un culto pagano: quello di Lug, dio celtico della morte e della resurrezione. Il simbolo di Lug era il cinghiale, e sant'Antonio è sempre raffigurato con un maialino al fianco. La stessa campanella di sant'Antonio è simbolo della morte e della resurrezione. "Come è avvenuto spesso nel cristianesimo primitivo, i Celti convertiti hanno trasferito probabilmente gli attribuiti di Lug su sant'Antonio" osserva Alfredo Cattabiani. Le stesse reliquie di sant'Antonio sono giunte dalla terra dei Celti, la Francia.
Ancora il chisöl come pane dei morti, dunque. Anche nella tradizione bresciana. In forma diversa rispetto a Brenzone. Ma con lo stesso nome. Il che spinge a pensare che il chisöl sia il rito in sé, e non tanto ciò in cui si materializza. Rito comunque alimentare. Rito del pane dei morti: castagne o pani schiacciati che fossero. Ed a Brenzone se ne trovano gli indizi più autentici.
Perché proprio a Brenzone? Perché il suo lungo isolamento ha permesso di conservare traccia di usanze arcaiche, altrove dissoltesi. Giudicato "domicilio aspro e orribile", Brenzone è rimasto praticamente privo di strade sino alla fine degli anni Venti. Simili condizioni potrebbero aver consentito che lì e solo lì sopravvivessero tradizioni alimentari vetuste, non contaminate da altri usi alimentari o dalla cucina borghese ottocentesca. Non a caso proprio a Brenzone si trova la ricetta originaria del sisàm. E solo qui resiste un piatto come la polenta carbonéra, probabile indicatrice delle migrazioni che portarono alla colonizzazione di quest'impervia porzione del Baldo attraverso le valli lombarde ed il lago. Brenzone si mostra un prezioso laboratorio di ricerca sulle tradizioni gastronomiche del territorio veneto e lombardo.
Resta da soddisfare, credo, una curiosità: come si fa il chisöl in uso fra i Bresciani e i Mantovani. Gino Brunetti dice che il chisöl mantovano "era fatto con farina bianca, acqua, sale ed un poco di bicarbonato": il tutto veniva impastato e poi cotto col testo, ossia una teglia particolare per le torte o anche, più anticamente, un semplice disco di pietra o di terracotta per cuocerci, schiacciato, il pane "sulla madre del fuoco". "È fatto di farina bianca, acqua, sale e un poco di bicarbonato" concorda Franco Marenghi: l'impasto viene messo a cuocere sotto la cenere del camino in una teglia con coperchio. Lo si mangiava in sostituzione del pane. Doveva essere grosso modo così anche il chisöl che si usava a Cassone. Quello che, secondo Giuseppe Trimeloni, era "una particolare forma di pane piccoletta, tondeggiante e schiacciata". Lo stesso etimo riporta alla forma schiacciata, schisà.
"Che la chisöla incorpori l'uva fresca o secca, la cipolla o i ciccioli di maiale, poco importa: il carattere dell'impasto è sempre lo stesso", attesta Stefano Scansani parlando della tradizione mantovana. Lievito, farina bianca, acqua, sale e sugna, ossia greppole di maiale, sono anche gl'ingredienti del chisöl bresciano citato da Camillo Pellizzari. Secondo Marino Marini fra i componenti figurano anche zucchero, uova, uvetta e scorzetta di limone. E Marcello Zane dice che sul Garda lombardo il tegame di cottura veniva unto con l'olio e "spolverato di pan trito, veniva riempito da un composto formato da uova sbattute con zucchero, cui era stata aggiunta farina bianca, ancora dell'olio di oliva, sale e poco latte".
Questo è il chisöl. Sperando non se ne perdano la tradizione e la memoria.

(Angelo Peretti per la rivista El Gremal, 2000)

 
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